Bap Kennedy
Domestic Blues
[E-Squared 1998]

File Under: irish country

di Fabio Cerbone


per Bap Kennedy (17 giugno 1962 – 1 novembre 2016)


Un'anima divisa fra il lirismo ferito della sua Belfast e l'amore per l'America di Hank Williams (a cui dedicherà un adorabile tributo, dal geniale titolo di Hillbilly Shaklespeare), Bap Kennedy ha tenuto insieme due tradizioni e due sentieri musicali spesso convergenti. L'unione fra country d'autore e celtic soul in lui aveva il respiro di altri grandi protagonisti, che hanno guardato oltreoceano per agguantare la propria ispirazione. Non è un caso che in carriera il piccolo Bap abbia avuto la fortuna e la tenacia di incontrare sul suo cammino sia Van Morrison (che partecipò alle registrazioni di The Big Picture, album del 2005), sia Mark Knopfler (produttore del più recente The Sailor's Revenge, forse il vertice personale dell'artista), come lui europei (e isolani) innamorati di una mitologia americana, imbevuti di quelle memorie musicali, ma anche fieri portavoce del canto della propria terra.

Senza le stesse visioni e le vette artistiche dell'irlandese Van, senza le qualità tecniche dello scozzese Mark, Bap Kennedy ha costruito il suo ruolo di ambasciatore "minore", eppure essenziale, dell'attrazione fatale di cui sopra. Lo ha fatto attraverso una costante maturazione in qualità di autore, caratteristica che già emergeva nella sua prima importante avventura artistica, alla guida degli Energy Orchard, e che conobbe la sua rivelazione nell'incontro con Steve Earle in territorio di Nashville. Era la metà degli anni novanta, i due si erano incrociati ripetutamente nel corso delle precedenti stagioni: nei tour europei di Earle e nelle sortite americane degli stessi Energy Orchard, che divennero presto testimoni di un rock proletario dagli aromi soul e folk. Carriera fulminea e poco lodata la loro, anche se supportata da un contratto importante con la MCA, finita in una manciata di dischi e almeno un piccolo classico chiamato "Shinola". Earle viveva in quegli anni la sua discesa agli inferi, ma anche la sua lenta e vittoriosa risalita: da sempre invaghito dello spirito rock'n'roll che serpeggiava nelle band irlandesi (basti ricordare la sua collaborazione con i Pogues per Johnny Comes Lately), si annotò il nome di quel giovane songwriter alla guida degli Energy Orchard e quando ebbe bisogno di infoltire la scuderia della sua neonata E-Squared - etichetta indipendente che fondò nel '95, di ritorno dal castigo del carcere e della droga, con l'amico produttore Ray Kennedy - chiamò il buon Bap, invitandolo a saltare sul primo aereo per il Tennessee.

In questo clima di reciproca stima artistica e nella totale fiducia di Kennedy per il suo nuovo pigmalione americano, prende forma l'esordio solista di Bap, Domestic Blues. È senz'altro il suo disco più "yankee" nei colori e negli accenti, ma mai strappato dalle profonde radici irish. È anche quello che gode di una maggiore esposizione internazionale e che gli apre la possibilità di investire in un nuovo pubblico. Ciò che conta tuttavia è soprattutto il frutto di un bagalio di canzoni che Bap si porta appresso dopo la dolorosa chiusura dei sogni di gloria cullati insieme agli Energy Orchard. Nonostante una discreta accoglienza della stampa americana, che si accorge della scrittura romantica e accorata di Bap, e un lusinghiero comportamento nelle classifiche di vendita, anche grazie al nascente interesse per il mondo del cosiddetto "alternative country", a suo tempo Domestic Blues soffre un po' in sordina davanti ad altre rivelazioni di stagione, nonchè a causa della zoppicante promozione della stessa E-Squared. Avrebbe invece meritato ben altra esposizione, tracciando infine la direzione futura dell'intera carriera di Bap, nei suoni come nelle tematiche.

Avrebbe meritato non tanto o non solo per la produzione di Steve Earle, o per la serie di illustri ospiti rastrellati nella crema musicale di Nashville (la voce Nancy Griffith, il mandolino di Peter Rowan e il dobro di Jerry Douglas), quanto per la cristallina bellezza del suo country rurale e l'ingenua grazia delle liriche. Un'insolita scoperta (poi confermata dai successivi Hillbily Shakespeare e Lonely Street), perchè proveniva dalla voce solista degli Energy Orchard e da una specie di "espatriato" per natura, un musicista che sembrava restituire un sensibilità diversa a quelle radici musicali. Il primo vagito di Bap Kennedy conquista senza fare chiasso, con l'equilibrio della semplicità: dalla vivace apertura di Long Time Comin' alla tenerezza acustica e pigra di The Way I Love Her, Mostly Water e I've Fallen in Love, dal rotondo country-blues della title track fino ai colori della terra natia riflessi in The Ghost of Belfast (con tanto di tin whistles) e nella conclusiva The Shankill and The Falls, è una raccolta di docili ballate dal cuore acustico, sulla falsariga del capolavoro inciso da Steve Earle pochi anni prima, Train a Comin' - e guarda caso quest'ultimo donerà a Bap la sua Angel is the Devil, unica cover presente - canzoni abbellite da una strumentazione che sa di antico, di portici e country blues all'imbrunire, tra mandolini, dobro, lap steel, violini, e una band di tutto rispetto, che sa come toccare le corde giuste del sentimento, mischiando sapori d'Irlanda e hillbilly invecchiato in botti di rovere.

Se proprio si vuole muovere un appunto al debuttante Bap Kennedy di Domestic Blues, è forse l'eccessiva dipendenza dal suo mentore Steve Earle, che in ogni caso spende sempre generose parole di incoraggiamento per l'irlandese gentile di Belfast. Domestic blues finisce così per presentarsi all'appuntamento con la storia come un album completamente avverso alle mode del momento, lontano persino dal gesto elettrico del contamporaneo e più appetibile suono "No Depression" o roots rock che dir si voglia. Sprigiona però una propria poetica, quasi dimessa, che poggia sul gesto cordiale, domestico per l'appunto, e volutamente retrò delle melodie, che preferisce cantare in sottovoce, svelando così il carattere stesso di Bap Kennedy. Un gentiluomo di Belfast.

 


    

 


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