Buddy Miller
"Reinessance country man"

Quest'anno ha ricevuto una sorta di consacrazione come musicista e produttore: il lavoro fianco a fianco con calibri da novanta come Bill Frisell e Marc Ribot ha sancito l'importanza di Buddy Miller nella divulgazione e conservazione della tradizione country e southern americana. Rivediamo in prospettiva la sua carriera "tardiva", le conquiste, le numerose collaborazioni e soprattutto il sodalizio artistico con la moglie Julie.

A cura di Fabio Cerbone

 
:: Il ritratto

 

Prima di elevarsi al ruolo di vero e proprio "reinessance man", come direbbero gli americani, dell'intero movimento Americana, sorta di profeta, anticipatore e divulgatore della grande eredità della roots music, Buddy Miller ha affrontato un lunghissimo apprendistato, una maturazione che le stesse note biografiche, contenute nel suo sito ufficiale, solennemente accostano ad un Paul Cézanne, giunto a piena sbocciatura nella seconda età della vita. Tolti di mezzo confronti impropri, la saggezza del musicista e dell'autore si è certamente mostrata in tutta la sua esperienza soltanto a partire dai primi anni '90, allor quando Buddy Miller fa i bagagli dalla scena folk newyorkese, in cui per diverse stagioni aveva tentato di sgomitare, trovando nell'altra Nashville, quella dei "nuovi tradizionalisti" e di un risorgimento country all'insegna della passione e della fedeltà alle radici, un'oasi in cui esprimere tutto il suo talento. Uomo del Midwest, nativo dell'Ohio e per diverse stagioni impegnato nel sottobosco della cultura bluegrass e old time, Miller cresce artisticamente sulla strada, sin dall'alba degli anni Settanta. Il periodo è fertile per addensare intorno al suo songwriting la lezione del primo country rock, in una stagione fatta di incroci prima impensabili: da Hank Williams ai Byrds fino a Gram Parsons, da Emmylou Harris ai troubadour texani, il solco è tracciato e la Buddy Miller Band veleggia in un grande mare dove la tradizione assume nuovi insospettabili significati. Questa splendida confusione è tuttavia anche un freno alle qualità del musicista, che non sembra in grado di uscire dalle retrovie per troppo tempo.

Sarà la conoscenza artistica e quindi il legame affettivo con Julie Griffin (poi divenuta semplicemente la signora Miller) a far compiere un primo timido balzo alle ambizioni di Buddy: i due si posano nel 1981 e per tutto il decennio operano in sordina con piccole etichette, attraverso demo casalinghe, persino un contatto con il leggendario Sam Phillips (Sun records), prima di approdare al debutto ufficiale Meet Julie Miller del 1990. In questo frangente Buddy appare ancora nascosto, timoroso di esporsi in prima persona: lo spazio della ribalta è tutto per Julie e il suo nome viene speso sulle copertine dei dischi, con una carriera promettente che prende il via da alcune labels di ispirazione cristiana (una particolare fetta di mercato sempre in vista negli States) per arrivare all'intellighenzia della Nashville country più progressista, così come nella stessa Austin (terra di origine di Julie Miller), crocevia di una roots music che nella prima metà degli anni Novanta sta coalizzandosi intorno a nuove spinte artistiche. Dentro questo mondo Buddy Miller si adatta e trova il suo spazio: sorgono in questo periodo le numerose collaborazioni con Shawn Colvin (già corista in una vecchia incarnazione della Buddy Miller Band), Victoria Williams, Jim Lauderdale e Gurf Morlix, autori questi ultimi che da tempo stanno scavando un solco per una diversa visione della tradizione country, musicisti e produttori che annunciano l'Americana a venire. Buddy si inserisce nel gruppo: da una parte diventa a tempo pieno un apprezzato songwriter per conto terzi (le sue canzoni cominceranno a circolare nelle interpretazioni di Heather Myles, Lee Ann Womack, Brooks & Dunn), ingranaggio del Music Row nashvilliano dove la creazione di hit è continua e le regole del business musicale feree, dall'altra cominciando a coltivare la carriera solista.

Scavalcati abbondantemente i 40 anni, infatti, Buddy Miller dedicherà seriamente tempo alle sue intenzioni artistiche: Your Love and Other Lies lo impone alle attenzioni del settore country e roots rock nel 1995, seguito a ruota dalla piena fioritura di Poison Love e Cruel Moon, coppia di album che sostanzialmente definiscono la figura del musicista come il nuovo messaggero del tradizionalismo a cavallo fra canzone d'autore, radici sudiste e cosiddetto alternative country. La conferma e il riconoscimento unanime arrivano in questi anni grazie alla presenza in pianta stabile di Buddy nelle tour band di Emmylou Harris e Steve Earle: le qualità strumentali del chitarrista sono indiscutibili, uno stile limpido e riconoscibile che riesce a mantenersi in equilibrio fra un tocco molto rurale e acustico - derivante dalla sua educazione all'old time music - e uno più aggressivo che non disdegna fendenti di scuola rock blues e country rock texana.

La rivista No Depression, piccola Bibbia del settore, lo definirà successivamente "artista del decennio", esaltando proprio queste capacità camaleontiche, le stesse che lo portano a ricoprire più ruoli: songwriter, partner artistico con la moglie Julie (scorrerà in parallelo la carriera di quest'ultima da solista e quella della stessa coppia), talent scout (darà una spinta a nuove stelle come Kasey Chambers e Miranda Lambert) e produttore (affiancherà tra gli altri Patty Griffin, Lucinda Williams, Jimmie Dale Gilmore, Gillian Welch), turnista di valore. Nel decennio successivo arriva finalmente a compimento la consacrazione, sia attraverso la pubblicazione di alcuni dei suoi lavori più rappresentatitivi (a cominciare dal capolavoro dagli influssi gospel & soul Universal United House of Prayer, insignito dell'Album of the Year Award agli Americana Music Awards del 2005), sia attraverso la contemporanea e fortunata formula del duo Buddy & Julie Miller (un omonimo esordio nel 2001 e il più recente e celebrato Written in Chalk). Non bastasse la mera cronaca della carriera personale, si aggiungeranno anche le prestigiose collaborazioni avviate con l'icona del r&b Solomon Burke (Buddy cura la produzione di Nashville, disco a tema sudista e country soul del 2006), e ancora con John Fogerty, Alison Krauss e Robert Plant nel loro decorato Raising Sand e successivamente nella battezzata Band of Joy, sempre al fianco del citato Plant.

L'esito di queste presenze e di mille altre partecipazioni porterà al secondo prestigioso premio quale "Instrumentalist Of The Year" nel 2008, chiudendo il cerchio su un artista davvero completo. Purtroppo questo intenso lavoro sembra chiedere il conto al musicistanel corso della tournè organizzata insieme a Emmylou Harris, Patty Griffin e Shawn Colvin l'anno seguente: in febbraio, dopo lo show di Baltimora, un grave attacco cardiaco costringe Buddy al ricovero e all'impianto di un triplo bypass, per fortuna risolto con una efficace riabilitazione e il ritorno repentino sulle scene. Un nuovo album - The Majestic Silver Strings - infarcito di stellari presenze artistiche (lo affiancano le chitarre di Marc Ribot, Greg Leisz e Bill Frisell) annuncia una sorta di riconoscimento internazionale, seppure più importante a livello simbolico che non nei risultati, spesso troppo pretenziosi. Alla soglia dei sessant'anni tuttavia Buddy Miller continua a ribadire un ruolo centrale, per il pubblico e gli stessi colleghi, nella costruzione e conservazione di un patrimonio musicale immenso e apparentemente inesauribile.

 
 
:: Il capolavoro
 

Universal United House of Prayer
[New West, 2004]

1. Worry Too Much // 2. There's A Higher Power // 3. Shelter Me // 4. With God On Our Side // 5. Wide River To Cross // 6. Fire And Water // 7. Don't Wait // 8. This Old World // 9. Is That You // 10. Returning // 11. Fall On The Rock

 

Il vertice di una carriera costruita con sacrifici e serietà professionale arriva anche per Buddy Miller ed ha un fortissimo sapore sudista, sancendo il legame del musicista con quella terra e il suo intreccio fra radici bianche e nere. E' sempre stato quanto meno riduttivo descrivere la musica di Miller come country: senza dubbio musicista forgiato nella Nashville tradizionale eppure più "alternativa", è un autore che ha saputo sempre accogliere nelle sue composizioni un concetto allargato di american music, dove le fondamenta country più radicali si sono costantemente intessute con l'amore per il blues, il folk di estrazione irlandese, persino il pop e naturalmente il rock'n'roll con cui è cresciuto negli anni Sessanta. L'esplorazione di questi generi ha preso forma in ciascuno dei cinque dischi che hanno preceduto Universal United House of Prayer, come in una sorta di costante maturazione o approfondimento, ma mai aveva assunto le sembianze così commoventi e passionali ottenute in questa occasione. Oggetto delle sue attenzioni questa volta è infatti la musica nera, il southern-soul e il gospel nelle loro accezioni più spirituali e salvifiche, che si sovrappongono alle trame della citata tradizione bianca. Concepito come una sorta di ciclo di canzoni legate fra loro da un forte afflato religioso, il disco conta sulla presenza determinante di Regina e Ann McCray, figlie del leggendario reverendo Sam McCray, fondatore dei Fairfield Four. E' proprio l'intensità delle loro voci a rafforzare la purezza country di There's A Higher Power (brano dei Louvin Brothers) e This Old World (scritta con Victoria Williams), così come a sostenere l'orgiastico suono sporcato di blues dell'esplosiva Don't Wait e della straripante Fall on The Rock, un virulento soul-rock posto a chiusura del viaggio. Ancora una volta pescando con inteligenza tra materiale originale e cover selezionate, Buddy Miller rende uniforme il prodotto finale, piegando al suo stile e alla sua calda vocalità una serie di mid-tempo rock (la torrida Worry Too Much a firma Mark Heard) e fluttuanti ballate folk (la vertiginosa versione di With God On Our Side di Bob Dylan). E proprio la scelta di questi brani, nei loro evidenti risvolti politici, mostra la forza del disco, una personale risposta alla condizione dell'ordine mondiale nell'era di Bush jr. Miller non ha preso dall'amico Steve Earle in quanto a veemenza politica, ma arriva all'obiettivo con un approccio altrettanto apprezzabile. La risposta va ricercata per lui nella fede autentica, non manipolata da secondi fini, siano essi fondamentalismi o guerre "giustificabili": ecco allora la richiesta di un riparo (il torrido blues-rock di Shelter), la consapevolezza della strada da percorrere (il piccolo classico Wide River to Cross, folk song dolcissima cantata in coppia con Emmilou Harris) e le domande da porgere direttamente a Dio (Is That You, ancora splendidamente tinta di gospel).

 
:: Dischi essenziali
 

Cruel Moon [Hightone, 1999]

Ideale compimento e apice di una trilogia discografica, Cruel Moon è il terzo lavoro in casa Hightone che prende per le corna la tradizione country rock ridandole slancio e sapore, mantenendosi fedele ad un approccio elettricoe rurale al tempo stesso. Non è un caso se il disco finirà in cima alle preferenze della grande tribù "No Depression" - la rivista, i siti e il pubblico che si tsanno formando intorno alla rinascenza del rock delle radici - nel momento di eleggere il disco del '99. Squadra fortunata non si cambia e Buddy Miller si guarda bene dal rinunciare alle collaborazioni che hanno fatto la fortuna dei due precedenti album, sfruttando però una maturità di autore e interprete che trasforma immediatamente Cruel Moon in uno dei piccoli grandi classici dell'Americana di fine decennio: impossibile non cosiderare questa manciata di brani una sorta di guida, di vocabolario su cui ogni nuovo songwriter di area tradizionale dovrà prendere appunti. Ai soliti gregari Phil Madeira, Byron House, Tammy Rogers a Al Perkins si affiancano gli amici di sempre: Steve Earle risponde nuovamente all'appello nella spassosa Love Match e dona persino una sua composzione, I'm Not getting Any Better at Goodbye; Emmylou Harris lascia un cameo vocale nella title track, Jim lauderdale torna a scrivere con l'amico Miller e presenzia in I'm Too Used to Loving You. Il resto è saldamente nella mani della moglie Julie, che ancora nascosta dietro le quinte scrive, duetta e sostiene il compagno di vita e di arte al meglio delle proprie capacità. La differenza di qualità del materiale si fa sentire, candidando immediatamente Cruel Moon a primo raggiunto capolavoro della loro carriera: il fuoco hillbilly di Does My Ring Burn Your Finger, la dolcezza infinita della stessa Cruel Moon e di In Memory of My heart, la trascinante danza ritmica di Somewhere Trouble Don't Go, le effusioni soul di Sometimes I Cry formano un'eredità importante, un songbook dove attingere per le nuove generazioni Americana.


Buddy & Julie Miller
[Hightone, 2001]

Strano a dirsi, ma dopo anni di intensa collaborazione artistica, l'omonimo disco del 2001 per la Hightone sancisce il primo ufficiale debutto discografico della coppia. Un disco da un punto di vista stilistico semplicemente perfetto: l'intesa fra Buddy e Julie Miller era già stata ampiamente dimostrata nelle rispettive singole uscite, ma nel continuo gioco di rimandi e nello scambio più intenso delle voci, che si alternano nel ruolo solista, risiede la novità. L'unione fa la forza, proprio così, banale constatazione che in Buddy & Julie Miller mostra esattamente i risultati che ci si aspetterebbe da loro. Undici episodi di scintillante folk-rock con le dovute incursioni nei territori della tradizione country, della ballata rurale e con qualche irrefrenabile voglia rock'n'roll, che la chitarra di Buddy sa come rendere al meglio. Sul versante del songwriting padroneggia naturalmente Julie, mentre il buon maritino si astiene dalla scrittura ma infila perle chitarristiche che giustificano la sua elezione a sessionist tra i più richiesti del periodo in camo Americana. il suo stile segna indelebilmente le melodie sfavillanti di alcune ballate e di quei pochi, intensi colpi rock-blues. Tra questi ultimi You Make my Heart Beat too Fast e gli eccitanti sapori swamp sudisti di Dirty Water (qui il lavoro alla chitarra è da applausi). Gli intrecci vocali, mutuati da un'espressione che media fra tradizioni country, old time e gospel, restano la vera carta vincente della raccolta: lo si intuisce chiaramente ascoltando il climax raggiunto nelle interpretazioni di Keep Your Distance (Richard Thompson), nella struggente rilettura di Rock Salt and Nails o dell'indimenticabile Wallflower a firma Bob Dylan. Prodotto sapientemente dagli stessi coniugi Miller ed avvalorato dalla presenza di alcune collaborazioni di peso (l'onnipresente Emmylou Harris, Gary Tallent), Buddy & Julie Miller si lascia amare da tutti coloro che hanno ben inteso il senso proprio del concetto "Americana": una sintesi magica di radici e rock, di suoni semplici eppure centellinati nel minimo dettaglio con grande dedizione, che possono generare piccoli gioielli quali That's Just How She Cries.


Written in Chalk
[New West, 2009]

Il secondo episodio ufficiale della coppia compare soltanto a fine decennio, segno che Buddy e Julie Miller si preoccupano soprattutto della qualità del loro messaggio musicale, senza sfruttare all'eccesso una pur evidente posizione di prestigio acquisita. È chiaro comunque che Written in Chalk sia il frutto finale di un lungo percorso di conquista: la presenza nell'album di ospiti e relativi duetti e collaborazioni sancisce questo passaggio, anche rischiando di farlo apparire un'opera più costruita. In parte risulta certamente meno spontanea e naif dell'omonimo lavoro del 2001, ma è innegabile che la produzione dello stesso Buddy Miller, la densità dei brani e di sonorità che lambiscono canzone d'autore, tradizione old time e persino velleità jazzy, riflettono una raggiunta maturità della coppia artistica. Racchiuso in una bellissima confezione cartonata dal sapore bibliofilo, Written in Chalk costruisce una serie di capitoli e resoconti sulle pene d'amore, in cui Julie Miller trova lo sfogo per la sua scrittura romantica, a tratti disperata, ma mai arresa alla banalità dell'argomento. Gli accesi toni southern country di Ellis County e il country blues fangoso di Gasoline and Matches sembrano agganciarsi ad un clima familiare, portando a compimento lo stile del duo, ma la rarefattta ballad pianistica Don't Say Goodbye lancia il segnale di un disco più ambizioso. Proprio Julie Miller pare essere il polo di questa parziale svolta, nel segno dell'eleganza: Long Time è quasi un richiamo alla Rickie Lee Jones delle notti al Tropicana, mentre Every Time We Say Goodbye vive dei sussurri del suo canto. Una scelta che in parte rende troppo "sofisticata" la musica dei coniugi, spesso apprezzabile invece per il carattere a volte brusco e appassionato con cui affronta la tradizione. Qui si riflettono alcuni sprazzi di pura goduria hillbilly in What You Gonna Do Leroy di Mel Tillis (duetto di Buddy con Robert Plant, prima di formare insieme il progetto Band of Joy), nel country soul di One Part, Two Part con la partecipazione delle McCrary Sisters o ancora fra le trame blues paludose di Memphis Jane. Il set di Buddy & Julie Miller però è leggermente modificato e il loro vero sentire appare oggi riassunto da riletture quasi signorili come The Selfishness in Man (brano del grande Leon Payne, l'autore di Lost Highway), episodio che chiude il disco chiamando a raccolta l'amica inseparabile Emmylou Harris.

 
:: Il resto
 

Your Love and Other Lies [Hightone, 1995]

L'esordio solista di Buddy Miller avviene all'insegna di una rinnovato tradizionalismo, che guarda caso riccolega Your Love and Other Lies, per suoni e concezione, alla stagione vissuta a Nashville una decina di anni prima sotto la guida di Steve Earle, Dwight Yoakam e Lyle Lovett. Alle registrazioni partepano peraltro personaggi chiave quali Al Perkins, Phil Madeira, Don Heffington e Byron House, attivi protagonisti di questo rinascimento. Una produzione casalinga, che inaugura una sequenza di lavori concepiti nelllo studio parsonale di Miller, non penalizza affatto le qualità del musicista, ma soprattutto di quello che sembra essere una sorta di filologo della country music. In tutto il disco si respira infatti un'atmosfera di recupero e valorizzazione delle sonorità più classiche del genere, facendo riferimento ad honky tonk, cosiddetto Bakersfield sound (Buck Owens, Merle Haggard), country rock d'annata, amplificato dalla chitarra twangy dello stesso Buddy Miller e da un ottima valorizzazione delle parti vocali, sia con la moglie Julie (anche co-autrice di diversi episodi), sia con le diverse voci femminili chiamate a raccolta (Emmylou Harris e Lucinda Williams). Un battesimo che convince a pieni voti, pur mantenendosi dentro i canoni della tradizione fin con troppa osservanza, lasciando aperte diverse soluzioni sul futuro. Qui Miller sembra in qualche modo sentirsi rassicurato dalle presenze di You're Running Wild (Louvin Brothers) e di una affettuosa versione del classico di Tom T hall, That's How I Got to Memphis, ricorrendo infine all'aiuto di Jim Lauderdale per Hold on My Love e Hole in My Head. Non una questione di insicurezza, ma probabilmente l'esigenza di essere circondato da amici che hanno compiuto un percorso artistico comune. La capacità di evocare paesaggi sudisti, spostandosi spesso da romantiche ballate (Through the Eyes of a BrokenHeart, Watching Amy Dance) verso guizzi di pura hillbilly music (Don't Listen to the Wind, con il violino di Tammy Rogers) e iniezioni di swamp blues (I Can't Slow Down) suscitano l'interesse del mondo discografico e di numerosi colleghi. L'etichetta che dà fiducia a Miller è la piccola agguerrita Hightone, da qualche tempo in prima fila nella costruzione di un country "alternativo" al circuito delle major. Una scelta che verrà premiata sulla distanza.


Poison Love [Hightone, 1993]

A tutti gli effetti un proseguimento dell'esordio, Poison Love stabilisce definitivamente il ruolo di Buddy Miller tra i capofila di una rinascita del suono country più classico, smussando le ingenuità e amplificando le doti di ricercatore presenti in Your Love and Other Lies. Una apertura quale Nothing Can Stop Me, vecchio hit a firma George Jones e Roger Miller, è sintomatica del percorso e della direzione in cui si muove l'intero lavoro di Miller, qui benedetto dalle partecipazioni di Gurf Morlix, Jim Lauderdale, Sam Bush, Al Perkins, Byron House a altri maestri dell'altra Nashville. Profondo conoscitore del linguaggio honky tonk, lo adatta alla sua educazione di musicista cresciuto fra soul e rock'n'roll, attingendo alla matrice sudista e riadattando il genere secondo il gusto più "moderno" del cosiddetto alternative country. In verità si tratta, per lui e per altri compagni di strada al tempo, di una sorta di riposizionamento nell'alveo della tradizione, rigettando in un solo colpo le produzioni adulterate del mainstream contemporaneo. In Poison Love si fa largo infatti un modo di sentire e approcciare la materia country che ha molto a che vedere con la golden age di Nashville, con la lezione country rock dei Settanta e naturalmente con i cosiddetti "New Traditionalists" del decennio successivo. Non a caso Miller duetta con uno di loro, Steve Earle, nella title track: nello stesso periodo diventa chitarrista ufficiale dei Dukes e si divide anche con la band di Emmylou Harris. Quest'ultima ricambia prestando voce e chitarra acustica in Don't Tell Me, uno dei numerosi episodi firmati da Buddy con la moglie Julie. È esattamente l'alta qualità del repertorio scritto dalla coppia per l'occasione a rendere Poison Love una conferma e un rilancio per la carriera di Buddy Miller: le fragranze country soul di Baby Don't Let Me Down, le tessiture old time, con il fiddle e mandolino di Tammy rogers, in Love Grows Wild, a dimostrazione dell'educazione bluegrass di Buddy, e ancora Draggin the River e Help Wanted, brani che esaltano il timbro rurale delle voci. Due invece le tracce firmate con l'amico Jim Lauderdale, dal classico honky tonk di Love in the Ruins alla chiusura di Love Snuck Up il disco acquista il tenore di una piccola mirabile lezione sull'espressività della country music più sincera.


Midnight and Lonesome [Hightone, 2002]

Forse il primo lavoro di maniera nella discografia di Miller, Midnight and Lonesome non si discosta in fondo dal resto della sua produzione, per sonorità e tematiche, ma risente per la prima volta di una certa debolezza compositiva e di scelta del repertorio. L'album compare dopo il successo di critica ottenuto dalla collabprazione quattro mani con Julie Miller e difatti Buddy continua in qualche modo ad affidarsi ciecamente alle cure della moglie, che porta in dono nuove canzoni, lasciando quindi libero l'estro di musicista roots dalle ampie vedute del marito, sia in sede di arrangiamento, sia nel ripescaggio di brani dalle più disparate tradizioni. Buddy Miller sceglie dunque in questa occasione di aprire niente meno che con gli Everly Brothers di The Price of Love, ballata riverniciata secondo il limpido stile country rock del nostro, sfiorando poi il soul d'annata con la cover di Plese Send Me Someone to Love di Percy Mayfield e recuperando un dimenticato Jesse Winchester in A Shoman's Life. Episodi curiosi senz'altro, a conferma di una sconfinata passione musicale, ma non del tutto riusciti (il brano di Mayfield è svogliato). L'accostamento con la produzione di casa Miller produce un effetto un po' deludente, seppure la squadra di fidati musicisti regga nell'insieme, tanto da trovare Midnight and Lonesome in molte segnalazioni di fine anno tra i dischi Americana del 2002. Julie porta in dono la title track, vibrante hillbilly song marcata dal violino di Larry Campbell, ma quello che resta non appare all'altezza del suo passato, fatta eccezione forse per una simpatica giga country intitolata Oh Fait Pitiè D'Amour (Love Have Mercy on Me). L'unico vero episodio in grado di rientrare in una ipotetica antologia del meglio della produzione "milleriana" è la ballad elettrica Water When the Well is Dry, co-firmata con il bravo e misconosciuto Bill Mallonee, leader dei Vigilantes of Love.


Buddy Miller's Majestic Silver Strings
[New West, 2011]

A coronamento di una crescente stima artistica e di una serie di collaborazioni prestigiose (da Robert Plant a Patty Griffin, da Levon Helm a Allison Krauss), Buddy Miller prende in mano le redini di un progetto ad ampio respiro, che difficilmente può essere attribuito alla sua sola persona. Sorta di opera corale, dunque, di cui Miller diventa un semplice direttore d'orchestra, produttore innanzi tutto e quindi centro attorno al quale gestire un insieme di musicisti, The Majestic Silver Strings si presenta sulla carta come il possibile apice della rivisitazione country e Americana operata negli anni dallo stesso Buddy Miller. Protagonisti gli strumenti a corda di Greg Leisz, Marc Ribot e Bill Frisell, a formare un quartetto con Buddy e chiamando di volta in volta una voce (spesso femminile), un ospite, un abbellimento, cercando nuove prospettive per alcuni classici e traditional di pubblico dominio. Intenzioni ambiziose, cast stellare, ma come spesso capita in queste occasioni un risultato sopra le righe, frenato dalla eccessiva velleità artistica: suonato divinamente, prodotto altrettanto bene, The Majestic Silver Strings resta tuttavia una cartolina troppo lucida, un lavoro manieristico che cerca di immettere nuova linfa nelle versioni di Cattle Call, Why Baby Why (George Jones), I Want to Be With You Always (Lefty Frizell), ma finisce per cancellare il carattere brusco, sincero degli originali. Come anticipato, qui Buddy Miller è soltanto un pezzo del puzzle, seppure si carichi sulle spalle la responsabilità dell'organizzatore: insieme a lui è forse Marc Ribot a offrire i risultati più spiazzanti in Bury Me Not on the Lone Prairie, nonostante si tratti di folk song oblique il cui approccio appare lontano dalla sensibilità degli altri protagonisti. Lo stesso Chocolate Genius, ospite in Dang Me, trova un sentiero spiazzante. Il resto tuttavia ottiene l'effetto contrario: sono le voci di Lee Ann Womack (in Meds e Return to Me), Emmylou Jarris (Why I'm Walkin') e Shawn Colvin (That's The Way Love Goes) ad addomesticare un disco dal tono strumentale irreprensibile, eppure un po' svuotato di senso. Nel finale ricompare la moglie Julie per un duetto nell'autografa God's Wing'ed Horse, ma si tratta solamente di un bagliore.

 
:: Riepilogo (discografia)


Your Love and Other Lies (Hightone 1995)   7
Poison Love (Hightone 1997)   7.5
Cruel Moon (Hightone 1999)   8
Buddy & Julie Miller (Hightone 2001)   7.5
Midnight and Lonesome (Hightone 2002)   6.5
Universal United House of Prayer (New West 2004)   8.5
Written in Chalk (New West 2009)   7.5
The Majestic Silver Strings
(New West 2011)   6

Raccolte
Love Snuck Up (Hightone 2004)
The Best of the Hightone Years (Shout! Factory 2008)





Buddy & Julie Miller - "Somewhere Trouble Don't Go"



Buddy Miller & Emmylou Harris - "Wide River to Cross"


<Credits>