Dopo aver chiuso l'epica
sarabanda degli Hüsker Dü (già sufficiente a consegnarlo alla storia) Bob Mould
si è ritrovato con una carriera solista speciale (compresa la parentesi degli
Sugar) che nell'ultima fase lo ha visto protagonista di un trittico di dischi
di rara maturità, Silver
Age, Beauty
& Ruin e Patch
The Sky. Testimoni di una coerenza non solo musicale, cominciata
con canzoni per anni importanti, molto tempo fa. La reazione degli Hüsker Dü a
quello che Dennis Cooper in Ziggy (Marco Tropea Editore) chiamava il "mondo
convenzionale" è stata condivisa da tanti altri, ma loro suonavano più duri, più
veloci, senza fermarsi mai, sferragliando da un nulla all'altro, giusto per mettere
insieme pane, formaggio e la benzina per arrivare al concerto successivo. Meglio
quello che la noia, le consuetudini, la morale e l'ipocrisia della maggioranza
silenziosa. Dormivano dove capitava, il più delle volte nel furgone, quando andava
bene sotto le scrivanie della SST. Solo quando cominciarono a vendere qualche
disco (da Zen Arcade, capolavoro) si permetteranno una stanza di motel
divisa in tre. Non erano soli nell'attraversare l'America e prepararono il terreno
e seminarono per il futuro, come spiegava Bob Mould: "Stavamo solo... Facendo
qualcosa. Il fatto riguardo a quella musica, a quei giorni e a quell'età è che
stava succedendo ovunque. C'erano grandi rock'n'roll band in ogni città, ma non
avevano posti dove andare a suonare. Così abbiamo dovuto costruirci i nostri palchi,
dove invitavamo i gruppi delle altre città a suonare, così come noi venivamo invitati
da loro. Ecco come è successo".
A differenza di altre rock'n'roll band
in cui la velocità era tutto, e niente, per gli Hüsker Dü è stata il veicolo
di un'idea e di uno stile: non una visione futurista, piuttosto un modo per prendere
le distanze, da tutto e da tutti. Diventarono capaci di incidere un album in un
giorno o due, un po' per necessità (i soldi erano quelli che erano), un po' per
scelta, perché continuavano a suonare senza sosta e un po' perché anfetamine e
alcol fornivano una miscela esplosiva di energia. Poi, estremi lo sono sempre
stati, a partire dall'humus da cui provenivano, quello dei sobborghi americani,
dall'alienazione e dall'angoscia di famiglie disfunzionali (a dir poco), e di
esistenze solitarie e disorientate. Se la storia degli Hüsker Dü è stata dura,
sgraziata, compatta come le loro canzoni, è perché, come diceva Bob Mould ancora
ai tempi di Land Speed Record: "Noi non cantiamo di Jo Anne, di Shirley
o di Sally, cantiamo di gente che muore di fame, di complessi militari-industriali,
e cavalcavia congestionati". Argomenti insoliti per una rock'n'roll band (soprattutto
le infrastrutture), a cui calza alla perfezione la definizione di I Apologize
secondo Dennis Cooper: "Una simpatica dichiarazione, rauca, feroce, un po' confusa,
contro il modo in cui va il mondo, così appropriata alla sua situazione attuale
da essere quasi comica". Erano proprio così, gli Hüsker Dü la cui vita da fuggitivi
giunse ben presto al limite: l'aumento esponenziale degli additivi, con l'aggiunta
dell'eroina per Grant Hart nell'ultima fase di convivenza del trio, non fece che
comprimere le stagioni e stringere i tempi. La corsa non era infinita, era chiaro
fin da allora, e comunque meglio una dignitosissima fine, quella di Candy Apple
Grey e Warehouse che diventare pallide copie delle furie che erano.
Ricorda Bob Mould: "La gente ha frainteso il pessimismo e l'angoscia delle nostre
canzoni. Noi siamo proprio l'opposto, non siamo persone insensibili o ciniche.
Ma siamo frustrati dal fatto che molta gente finisce in quel modo, disperata,
spaventata. Abbiamo paura di finire anche noi così, e quella paura emerge nei
nostri pezzi".
Incompresi,
spesso gli Hüsker Dü hanno davvero rappresentato qualcosa di diverso, di coraggioso
e di alternativo, anche se poi Bob Mould ha cominciato a odiare quell'etichetta,
un luogo comune come tanti, ma che Dennis Cooper ha saputo tradurre in modo molto
preciso: "Non che ogni singolo membro degli Hüsker Dü sembrasse sempre così invidiabilmente
felice, ma qualcosa negli occhi di quei tre ragazzi invecchiati, con la sofferenza
che li abitava, riusciva ad avere un benefico effetto sul mondo, correggendolo.
Sembrava più spazioso o roba del genere. Meno... Segnato sulla carta". Non è l'unico
ad avere trovato segnali di conforto nelle canzoni degli Hüsker Dü prima, e di
Bob Mould in seguito. Uno su tutti Ryan Adams, oggi amico e partner per
Patch
The Sky, che, quando è scappato di casa, si è scelto come colonna
sonora Zen Arcade e Workbook. Un album, quest'ultimo, che segnava
una netta linea di demarcazione, chiudendo le porte in faccia al passato prossimo,
come spiegava Bob Mould: "Per me gli Hüsker Dü sono stati un gruppo importante
e una parte davvero importante della mia vita. E' quello che ero nei miei vent'anni.
Non posso ricreare quella situazione ancora. Quelle canzoni hanno ancora un grande
valore per me e ho cercato di portare avanti quello che ho imparato, ma non sono
dell'idea di ricreare quello che è successo in quel periodo, sono convinto che
sia meglio lasciare tutto là dov'è rimasto". Meglio così, poi, che una reunion
come quella dei Replacements (patetica) o dei Pixies (inafferrabile). Almeno c'era
qualcosa di chiaro da cui ricominciare anche se la costruzione della sua carriera
è stato un un percorso a ostacoli, proprio a partire da Workbook: "Era la fine
degli Hüsker Dü, all'inizio del 1988 ed ero molto isolato. Stavo vivendo in una
fattoria Pine City, nel Minnesota, e avevo lasciato tutti i miei effetti per cercare
un nuovo suono. Quando avevo lasciato il gruppo, l'istinto mi diceva di non riprovarci.
Fai qualcosa di diverso, trova la tua voce. Ho speso almeno nove mesi sperimentando
chitarre e parole e nuovi suoni e venne fuori tutto nel 1989, e davvero ho provato
a non prestare attenzione al mio passato".
Tra Workbook e Black
Sheets Of Rain (un grande disco, anche a distanza di tempo) si è delineato
l'alfabeto della carriera solista. Anche Silver Age, Beauty & Ruin e Patch The
Sky sono tutti figli di Black Sheets Of Rain più che di Workbook, che rimane un
capitolo, estemporaneo e anomalo nella sua carriera (per quanto splendido). Black
Sheets Of Rain è anche il cardine (più oliato) con gli Hüsker Dü, una storia da
cui è impossibile prescindere, almeno con quelli dell'ultimo periodo, tra Candy
Apple Grey e Warehouse. Il riff di Stand Guard e la costruzione di Hanging
Tree sono i modelli su cui si sono formate tracce di canzoni fino a Monument.
Per dire, anche l'omonimo Bob Mould (1996, e tra i primi esperimenti
con l'elettronica) sembra ricavato sul profilo stesso di Black Sheets Of Rain
e quella disposizione verso la pioggia evocata nel titolo è durata fino a oggi:
Pray For Rain (in Patch The Sky) è soltanto l'ultima evocazione dopo 180
Rain (in Modulate), Days Of Rain (in Body Of Song) e Reflecting
Pool in The Last Dog And Pony Show. Nel resto, pur restando fedele alle sue
origini, alle sue radici, e lasciandosi i "Poison Years" alle spalle,
Bob Mould non ha esitato a guardare in altre direzioni. La definizione di Grant
Hart, riportata da Michael Azerrad, secondo il quale era "un provinciale che tenta
di spacciarsi come uno di Manhattan", troverà un suo riscontro, quando Bob Mould
comincerà a frequentare la scena dei club di New York: "Ci sono caduto dentro.
Ho vissuto a New York intorno al 1998 ed era piena di club e negozi di dischi.
Quando ho sentito per la prima volta Xpander di Sasha è stato come sentire
Beaster degli Sugar, ma con i sintetizzatori. Lo stesso tema, ripetitivo, pesante:
ho cominciato a cercarlo con assiduità. Quello che mi è piaciuto della scena dei
club e che mi hanno fatto di nuovo appassionare alla musica".
Bob
Mould è stato molto coraggioso nel lasciarsi tentare anche se i risultati, dal
tentativo rap di Megamanic in The Last Pony And Dog Show
ai suoni elettronici di Modulate (un passaggio complicato) fino
a Life And Times, sono rimasti del tutto interlocutori. L'idea di estrapolare
il gusto pop sommerso dall'elettricità ha trovato uno spunto davvero interessante
in Shelter Me (in District
Line), una canzone costruita su una sequenza infinita di loop e,
in pratica, senza chitarra, ma era e resta difficile immaginare Bob Mould dietro
a una consolle. Però, essendo sempre sulla linea del conflitto, i fallimenti possono
essere considerati un atto dovuto, un necessario momento di confronto e di esplorazione
perché così come erano coraggiosi gli Hüsker Dü nel 1987, esserlo nel 1997 o nel
2007 impone altre considerazioni sugli scenari che si sono aperti e a cui Bob
Mould non ha rinunciato. Anche se gli esperimenti con l'elettronica, materia che
non è così semplice da trattare, sono diventati di moda e hip e indispensabili
e "cool", non è detto che siano adatti a tutti e infatti Bob Mould ha
ben presto ricominciato dall'inizio. Il primo segnale è stato Life
And Times che, pur mantenendo in superficie quel gusto pop (mai
smentito), riportava Bob Mould, alla sua dimensione più naturale e spontanea,
quella di chitarra, basso e batteria che martellano senza sosta. E' un modello
di resistenza e di coerenza autosufficiente, tale da consentirgli di abbandonare
al proprio destino la famiglia, lasciare le sue rock'n'roll band (gli Hüsker Dü
e poi i Sugar) e combattere una lotta contro il tempo, ma che non poteva farlo
fuggire da se stesso.
La ripartenza è avvenuta tra Silver
Age e Workbook 25 perché Bob Mould è tornato a fare quello che
sa fare, poi ribadito con maggiore convinzione in Beauty
& Ruin e infine in Patch The Sky. L'ha spiegato in un videoclip
divertente, dove con una Stratocaster dentro a un Marshall ha dato la sua lezione
(grande, semplice) di chitarra e di songwriting. Se avete qualcosa da dire, vi
bastano due accordi e il volume al massimo, il mondo resterà comunque quello che
è (non un granché), ma dovrà ascoltare, provare per credere, e occhio al vicinato.