TRACKLIST: 1
Vagabond Moon // 2 Dear Lord // 3 It's All Over // 4 Across the River // 5 She's
So Cold // 6 I'm Not Waiting // 7 That's the Reason // 8 They'll Build a Statue
of You // 9 Old Men Sleeping on the Bowery // 10 Behind the Cathedral // 11 Sing
Me a Song
File Under:
new sound in the Village
di
Fabio Cerbone
Leggenda
narra che ci fossero una decina di etichette a bussare alla porta del piccolo
appartamento del Village in cui Willie Nile aveva messo radici dalla metà
dei Settanta. Fu Clive Davis, funanbolo dell'industria discografica, transfuga
dalla grande corporation della Cbs e fondatore dell'Arista a mettere sotto contratto
quel folletto rock originario di Buffalo, che si agitava nei caffè newyorkesi
più leggendari come il Gaslight o il Folk City, ma che aveva cominciato a farsi
largo anche tra la coltre di elettricità e bordate rock'n'roll che il vicino frastuono
del CBGB e di tutta la scena punk aveva riversato in città. D'altronde Nile non
era certo un folksinger della vecchia scuola di Broadside: cresciuto come pianista
classico (le prime lezioni a otto anni) e trasformatosi in chitarrista da adolescente,
aveva assorbito l'energia del beat, la rivoluzione della prima British Invasion,
portanto sulla pelle i segni dello schianto degli Stones, degli Animals, degli
Who e naturalmente di John Lennon, che a New York ci era finito come lui per scelta
artistica e forse soprattutto per destino. Certo, c'era anche il Dylan elettrico
e tutto il suo immaginario ad incombere come un'ombra, così Willie Nile sarebbe
finito presto nel calderone disgraziato dei "Nuovi Dylan", dividendo lo scettro
con Elliott Murphy, Steve Forbert e altri espatriati nella Grande Mela, alla ricerca
di una nuova sintesi tra il folk rock dei sixties e la rinnovata, pulsante carica
del punk.
Esattamente a metà strada tra il jingle jangle dei Byrds, la
poesia urbana del Patti Smith Group (guarda caso entrati nella stessa scuderia
Arista di Clive Davis) e il lirismo elettrico dei Television, l'esordio omonimo
del 1980 sancisce al tempo stesso l'inizio e la chiusura di un periodo storico
irripetibile per il rock d'autore newyorkese: in contemporanea con l'affacciarsi
del collega Forbert (Romeo's Tunes da Jackrabbit Slim del 1979 diventa una piccola
hit del momento), di pari passo con il sound vibrante e meticcio dei Minik DeVille,
Willie Nile è una ulteriore testimonianza di quel misconosciuto sottobosco di
singer-songwriter, come li avrebbero chiamati in patria, alle prese con la riscrittura
della canzone rock più classica. I critici annotano i possibili talenti e in parte
li bruciano con etichette impossibili da sostenere, ma il debutto del musicista
di Buffalo regge tutto sommato il colpo, entrando in top 200 di Billboard e soprattutto
riservandogli lo spazio per un tour di supporto, al fianco dei suoi eroi The Who.
Periodo in un certo senso irripetibile per Nile, che ancora oggi ripropone regolarmente
dal vivo l'intensità palpitante di una Vagabond Moon,
nervoso e scalpitante folk rock d'apertura dell'album e sorta di evergreen personale.
Il disco è inciso con immediatezza live, quasi a conservare l'impatto
che Willie Nile aveva riservato al pubblico newyorkese del piccolo Kenny's Castaways,
club in cui i tipi dell'Arista lo avevano letteralmente scovato dal nulla. La
produzione di Roy Halee, personaggio stranamente noto alle cronache più per le
sue collaborazioni con Paul Simon (sound distante senza dubbio anni luce dalla
frenesia dell'esordio in questione), mantiene una dose di sporcizia e carica garage
che in episodi quali Dear Lord e She's
So Cold spinge allo scoperto l'educazione sentimentale, per così dire,
del giovane Nile, così poco propenso alla verbosità del folksinger e casomai figlio
di una tradizione rock'n'roll che in queli anni proponeva alla ribalta personaggi
come Tom Petty e Greg Kihn. La band allestita per l'occasione non nasconde star
mancate e turnisti di fama (una concessione giuso ai tamburi, con Jay Dee Daugherty
dalla band i Patti Smith), semmai un gruppo di musicisti con una visione comune.
La coppia di chitarre in mano a Clay Barnes (in seguito con Steve Forbert)
e Peter Hoffman scalcia e si inerpica in un rock'n'roll che sa essere romantico
e irrequieto a tempo debito: se I'm Not waiting
e That's the Reason possiedono l'innocenza
rock che più volte attraverserà la scrittura di Nile, la cavalcata di Old
men Sleeping in the Bowery e lo scorrazzare dylaniano di Sing
Me a Song frullano in un colpo solo la nuova onda punk stradaiola del
CBGB con le strade di fuoco di Springsteen. Nome quest'ultimo che spunterà costantemente
nei passi successivi della carriera di Willie Nile (soprattutto nel secondo lp
Golden Down, di recente ristampato con il qui presente Willie Nile nell'esaustivo
The Arista Columbia Recordings 1980 - 1991) e che qui pare assai più appropriato
come termine di paragone rispetto a Dylan, lì dove esplode il pathos di una Across
the River da orizzonti di puro romanticismo, in coppia con They'll Build a Staue
of You.
Sono passati trentatrè anni da questo esordio e resta immacolata
la sua spavalda freschezza, la sua perfetta sintesi tra rabbia punk urbana e poesia
folk dell'anima. Willie Nile da allora non è cambiato, ci crede ancora
in questo sogno rock'n'roll e lo porta in giro con immutata innocenza.