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Pete Seeger (3 maggio 1919, New York - 27 gennaio
2014, New York)
A
cura di Gabriele Gatto
Il
concetto da cui si dovrebbe partire è quello di
"Great American Novel", quell'ideale a cui da due
secoli tutti i grandi romanzieri americani tendono
costantemente. Il "Grande Romanzo Americano", la
fotografia perfetta della storia di un popolo relativamente
giovane, ma che in pochi decenni si è trovato a
dominare il mondo in un'ascesa la cui rapidità non
ha paragoni con quella di nessun'altra civiltà.
Ci hanno provato in tanti, da Melville a Steinbeck,
da Don DeLillo a Fitzgerald, eppure mancava sempre
qualcosa, c'era un che di incompleto. Invece, di
fronte a quell'uomo si provava la sensazione di
trovarsi a contatto con la Storia di un popolo.
Incrociando gli occhi con quelli di Pete Seeger
non era possibile non sentirsi di fronte ad
una vertigine.
Il sottoscritto lo incontrò, già ultraottantenne,
nel 2006, a Torino, quando gli venne conferito un
importante premio destinato agli operatori culturali.
In quell'occasione, circondato da un centinaio di
persone, in gran parte giovani per i quali il suo
nome non significava poi molto, disse due parole
sul significato della "tradizione" e suonò qualche
pezzo accompagnandosi soltanto col banjo. Fu il
silenzio più assoluto. Ogni parola, ogni nota, ogni
fiato che usciva dalla bocca di quell'uomo aveva
in sé il riverbero della Storia d'America.
Pete Seeger era come l'Universal Soldier
della canzone di Buffy St.Marie: la sua vita ed
il suo percorso artistico lo hanno portato, non
metaforicamente, su tutti i luoghi in cui si sono
svolte le vicende di una Nazione intera. Era con
Woody Guthrie e con gli Okies scappati verso la
California durante la Grande Depressione, a viaggiare
su un vagone merci con accanto il fantasma di Tom
Joad. Ha vissuto gli anni del patto Molotov-Ribbentrop,
schierandosi prima su posizioni neutraliste e poi,
assieme ai suoi Weavers, rivolgendosi direttamente
al presidente Roosvelt (la sua "Dear Mr. PresidentI")
chiedendo di intervenire nella Seconda Guerra Mondiale.
Era con i Repubblicani spagnoli, di cui portò le
canzoni in America, negli anni della Guerra Civile
Franchista. Allo scoppio della pace, era nella lista
nera dei pericolosi criminali della mente - lui
che si era sempre definito orgogliosamente "comunista"
ma che, al contempo, aveva avuto durissime parole
per la sanguinosa repressione Staliniana ai danni
dell'Ungheria, avvenuta nel 1956 - stilata per la
"Caccia alle Streghe" dal Senatore McCarthy.
Era stato al fianco di Martin Luther King il giorno
in cui l'America sognava ad occhi aperti, era stato
a Newport al fianco a Bob Dylan il giorno in cui
il rock'n'roll, dopo avere liberato i corpi, iniziava
a liberare anche le menti (e lì nacque la leggenda
del Seeger tradizionalista, che tentò di tagliare
i cavi con un'ascia. Tuttavia, pare che le cose
non siano andate proprio così e che Seeger fosse
imbufalito solo per il pessimo mixaggio dei suoni,
spendendo in seguito parole di stima per la svolta
elettrica di Dylan, nonostante alcune riserve).
Aveva scoperto la lotta ecologista, era stato in
prima linea contro la follia del Viet Nam, si era
schierato nelle lotte per le rivendicazioni dei
diritti dei nativi americani, aveva criticato le
scriteriate politiche militari di Bush il vecchio
e Bush il giovane e, in tempi recentissimi, aveva
marciato insieme ai giovani di Occupy Wall Street.
Eppure Seeger e le sue canzoni, in cui traspariva
la forza della purezza della tradizione, non era
soltanto un portabandiera politico. In un bell'articolo
commemorativo, il critico Paolo Vites ha usato una
forte immagine: Pete Seeger come "la quercia che
teneva unita l'America". Le sue canzoni, da We
Shall Overcome a Turn turn turn (dirette
discendenti degli inni dei padri pellegrini), da
Where Have all the Flowers Gone? a If
I Had a Hammer, dalle limpide armonie vocali
degli Almanac Singers prima e dei Weavers
poi all'asprezza folk dei lavori con Woody Guthrie,
dagli inni di lotta dei sindacalisti portuali alle
filastrocche per bambini, sono state lo specchio
di una Nazione. Inutile citare tutti coloro che
a lui si sono ispirati, da Springsteen alle moderne
leve dei neo-tradizionalisti. Seeger era un uomo
dalle mille contraddizioni. Non era un conservatore,
eppure criticò duramente il flower power e i movimenti
hippy scrivendo una canzone in cui invitava i giovani
ad "essere gentili con i propri genitori". Non era
un conservatore eppure in musica era un fervente
tradizionalista, quasi all'eccesso. Emblematico
è un episodio: quando uscì il recente omaggio di
Bruce Springsteen col progetto della "Seeger Sessions
Band", Seeger stesso si mostrò onorato del tributo
ma, con riguardo al risultato, ebbe a dire che per
i suoi gusti c'erano "troppi strumenti elettrici".
Eppure, nonostante tutto, proprio queste contraddizioni
sono uno dei segni della sua grandezza e della sua
importanza. Il suo lavoro di ricercatore della musica
delle origini, della "radice comune" di un popolo
è stato fondamentale e non solo in ambito tradizionalista.
La sua missione è stata quella di testimoniare la
grandezza delle proprie radici, girando per quasi
un secolo l'America prima e tutto il mondo poi.
Se vogliamo trovare un'immagine adeguata, possiamo
dire che Pete Seeger ha attraversato la storia della
musica del Novecento con la forza con cui il Mississippi
attraversa l'America, a volte scorrendo lento e
placido, a volte rimanendo in secca, a volte ramificandosi
in mille direzioni, a volte rompendo gli argini
ed inondando tutto intorno. Questa è stata la portata
della vita di Pete Seeger, una vita spesa per i
propri ideali, fino all'ultimo.
So long, Pete.
Pete
Seeger & Johnny Cash - Worried Man Blues (Johnny Cash Show)
Dagli
archivi di RootsHighway
Pete
Seeger & Friends Seeds,
The Songs of Pete Seeger Vol.3 [Appleseed/IRD
2003]
"Ogni sistema nel mondo ha bisogno
di una buona opposizione per essere in salute proprio come la popolazione degli
alci ha bisogno della minaccia dei lupi. E' un vecchio principio ecologico. Suppongo
di fare, come fa il lupo, semplicemente ciò che mi viene naturale" - Pete
Seeger
Nella
voce e nelle canzoni di Pete Seeger scorre
un secolo intero di storia della folk music americana,
diventando patrimonio culturale imprescindibile
per ogni nuovo autore che si voglia confrontare
con il lungo fiume della tradizione. Pochi possono
realmente vantare una "militanza" così autentica
per la diffusione dell'arte di scrivere una folk
song. Instancabile poeta sulla strada, vigile fustigatore
dei poteri e dei potenti, sognatore ingenuo e folksinger
per la gente, Pete Seeger non ha mai perso il senso
della sua missione, nonstante la sua figura abbia
certamente meno fascino o forse meno forza dirompente
di quella del vecchio compagno Woody Guthrie. Pete
però è sopravvissuto alla storia e certo non deve
essere stato facile portare avanti il testimone
in questi anni. Ancora oggi, superati abbondantemente
gli ottanta anni, continua la sua avventura, spinto
anche dall'appoggio di vecchi e nuovi amici, debitori
della sua lezione. Seeds, The songs of Pete
Seeger Volume 3 chiude una ideale trilogia
che la Applessed records ha costruito intorno alla
figura di Seeger, partendo dal celebrato Where
Have All The Flowers Gone. Questa volta non
ci sono nomi altisonanti ad accompagnarci nel viaggio
(nel passato c'erano stati Springsteen, Cockburn,
Browne, Donovan) e non ritroviamo brani realmente
storici del suo songbook.
Questo terzo volume propone un Pete Seeger a tratti
più musicista che autore, capace per esempio di
rielaborare brani su melodie della musica classica
(Visions of Children sulla 7 di Beethoven)
o di reinterpretare classici quali Over The Rainbow.
Due, come in pasato, i cd che compongono la raccolta:
Pete & Friends, che riunisce brani
interpretati dallo stesso Seeger con diversi musicisti,
tra cui il nipote Tao Rodriguez, Arlo Guthrie, Tom
Pacheco; Friends of Pete che accoglie
invece artisti ispirati dall'opera del nostro, alle
prese con un repertorio minore o meno celebrato
del solito. Non è un approccio facile quello richiesto
da Seeds, lavoro molto eterogeneo e forse più debole
dal punto di vista compositivo, ma lungo il percorso
si potranno certamente pescare alcuni gioielli.
A partire senza dubbio dalla toccante Bring Them
Home (If You Love Uncle Sam), incisa con Ani
di Franco, Steve Earle e Billy Bragg che si alternano
alla voce solista. Oppure, sempre sul versante più
"politico", Estadio Chile, dedicata al poeta
cileno Victor Jara, assassinato dal regime di Pinochet,
o una divertente Take It From Dr. King con
anesso coro di bambini in memoria di Martin Luther
King. In Friends of Pete scopriamo invece artisti
forse poco noti al grande pubblico, ma perfettamente
in sintonia con l'opera di Seeger, tra cui John
McCutcheon (Mrs. Clara Sullivan's Letter),
vecchie conoscenze del Village che fu come Janis
Ian (in Who Killed Norma Jean) e Tom Paxton
(Times a Getting Hard, Boys), e una meravigliosa
discepola come Natalie Merchant (nella strepitosa
Whick Side Are You On, presente anche nel
suo progetto House Carpenter's Daughter).
I semi sparsi da Pete Seeger in una carriera lunghissima
e leggendaria, vivono anche nei rilfessi di qwesti
più e meno giovani artisti, portando avanti
la voce dell'Altra America e di una musica di e
per l'umanità intera.
His
songs always plant some type of seed in your head...be it a seed of love, hope,
peace or discontent - Jim Musselman, Appleseed records