X
Alphabetland

[Fat Possum records 2020]

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File Under: western punk

di Pasquale Boffoli (07/05/2020)

Sbocciati sotto il grande cielo nero losangelino degli anni ’80 gli X, formatisi a fine anni ’70, sono una delle più grandi band che il punk californiano abbia espresso (insieme a Flesh Eaters, Germs, Fear), con un pugno di eccellenti album incisi nella prima metà di quel decennio già entrati nella storia. Di quel più che irrequieto movimento poi dissoltosi come neve al sole misero a nudo l’urgenza e il ribellismo musicali e sociali, saldandoli a un grande lirismo espressivo ed esistenziale. Due dischi usciti per l’etichetta Slash Records, l’etichetta per eccellenza punk californiana, “Los Angeles” (1980) e “Wild Gift” (1981), prodotti dall’ex tastierista dei Doors Ray Manzarek (che ci suonava anche dentro), contenenti brani memorabili come Unheard Music, Nausea, In This House That I Called Home, We’re Desperate, Beyond and Black, Adult Books. Due leader: il dinoccolato bassista John Doe, la minuta cantante e poetessa Exene Cervenka, che singolarmente o affiancandosi vocalmente (a mò di novelli Kantner/Slick del punk californiano) infondono calore e anima ribelli a questi imperdibili documenti sonori di un’epoca indimenticabile. Ma anche due comprimari di prima scelta: il batterista D.J. Bonebrake e il chitarrista Billy Zoom che iniettano costantemente nella musica degli X una robusta dose di energia rock’n’roll e rockabilly.

Immortalati live nel film di Penelope Spheeris “The Decline Of Western Civilization” (1981) continuano a dare il meglio di sé in altri tre album incisi per la storica etichetta Elektra Records: “Under The Big Black Sun” (1982), “More Fun In The New World” (1982), “Ain’t Love Grand” (1985), nei quali si stempera un po’ fisiologicamente l’irruenza degli esordi. Ma la qualità della produzione rimane sempre dignitosa, così come quella più rada degli anni ’90, “Hey Zeus!” (1993) e l’acustico “Unclogged” (1995). Due ottimi album quindi dal vivo, il secondo a distanza di quasi venti anni dal primo, che ribadiscono la loro consistenza e presenza nella scena: “Live At Whisky A Go-Go” (1988) e “Live In Los Angeles” (2005). Poi molti side project paralleli alla band (Knitters, Auntie Christ, Original Sinners) e dischi solisti in studio per la coppia Exene Cervenka e John Doe, che singolarmente dimostrano di essere in possesso di una spiccata personalità artistica, fino al ricongiungimento in chiave country di “Singing And Playing” (2012). Il tutto nonostante la brutta storia della sclerosi multipla scoperta dalla poetessa e cantante punk nel 2009.

L’orgogliosa e fiera band, mai doma, ristampa (anche su vinile) rimasterizzati i suoi primi quattro lavori su Fat Possum Records nei primi mesi del 2019, e davvero a sorpresa annuncia ora l’uscita - al momento solo in digitale, cd e vinile da fine agosto - di nuovo materiale inciso in studio in un periodo così delicato come quello della pandemia, a trentacinque anni di distanza dall’ultimo (Ain’t Love Grand, 1985) e in parallelo con l’anniversario di quaranta anni dall’uscita del seminale primo album Los Angeles. Ugualmente sorpresi si rimane all’ascolto di questo nuovo Alphabetland che testimonia con la medesima line-up di sempre di una band che perentoriamente non vuole morire, riproponendo la sua miracolosamente intatta e febbrile energia punk (Delta 88 Nightmare, Alphabetland, I Gotta Fever, Star Chambered, Angel On The Road, Goodbye Year, Goodbye) e rockabilly (Water & Wine, Strange Life, Free). L’approccio esecutivo sbalordisce per l’assoluta fedeltà ai canoni e dettami artistici primissimi anni ’80: che abbiano stretto, per adoperare una metafora più che scontata, un patto con il diavolo (del rock’n’roll in questo caso)? Solo All The Time In The World è Exene Cervenka in un solitario lento spoken word jazz-blues, accompagnata da un piano vagabondo e una chitarra che sussurra. Cyrano DeBerger’s Back infine, firmata John Doe, è traccia (già edita) affogata in salsa funk, vibrante come sempre è stata la vena autoriale di un valoroso artista ormai dai capelli bianchi non più così radi.


   

 


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