Di canzoni da una stanza ne
sono piene le nostre collezioni discografiche, fin da quel disco
di Leonard Cohen del 1969 che coniò l’espressione, eppure il fascino
dell’artista che registra nudo e crudo dalla sua camera da letto
o, come in questo caso, dal salotto, sembra non morire mai. Lorenzo
Bonarini, in arte Boa, aveva l’intenzione di farlo davvero
un omaggio a Cohen all’indomani della sua morte nel 2016, e da
lì è nato questo Bag Of Seeds, progetto che poi
è andato ben oltre l’ispirato omaggio. Sono sette brani registrati
in solitaria, eccezion fatta per una tromba che affiora in Those
Who e nell’enfatico finale di For Us (la suona Dimitri
Tormene), con quest’ultimo brano impreziosito anche dalla batteria
in chiave reggae di Mattia Piovani. Un disco atipico persino per
Bonarini, artista abituato a spaziare nei generi che dal folk
lo portano al blues, al jazz e persino all’hip hop, ma che qui
si è immaginato in una session alla Rick Rubin/Johnny Cash alla
ricerca dei toni profondi delle folk-songs di altri tempi. La
title-track è un teso gospel-blues in cui BOA incrocia voci sovraregistrate
e slide-guitar con un effetto davvero suggestivo che ricorda i
dischi di William Elliott Whitmore. Più da indie-folker Pinch
of Salt, anche se anche qui la canzone prende una piega da
crooner e quasi te la immagini cantata da Elvis Presley. Si svolta
con Down By The River, in cui BOA suona tutti gli strumenti,
con un risultato molto curioso tra funky-blues, gospel e un ritornello
elettrico quasi da era grunge, mentre New Sun e On The
Couch citano altri cantautori classici (la seconda pare davvero
un brano di Tim Buckley), così come il cantato di Those Who
richiama certamente David Byrne e Bluesette la vedrei bene
in un disco di John Cale. Consigliato agli animi sensibili.
Al
the Coordinator Raven
Waltz [La
Lumaca Dischi 2020]
Prima o poi per un musicista arriva sempre
il momento di confrontarsi con le proprie radici musicali, e non
ha fatto eccezione il cosentino Aldo D’Orrico, che avevamo già
incontrato sulle nostre pagine con i Miss Fraulein. Lo ritroviamo
dieci anni dopo, con il nickname di Al The Coordinator,
macinare blues acustico in puro pre-war sound, a fine di un percorso
che dopo lo scioglimento dei Miss Fraulein, lo ha visto dare vita
anche un progetto bluegrass come Muleskinner Boys, oltre alla
partecipazione ad altre band (Kyle, 4+20, I Tulipani). Raven
Waltz è un disco davvero bello che esalta la sua voce
profonda, sia negli episodi più tradizionali come l’apertura di
Jumping Red Spiders (singolo dallo spassoso video), sia
in una ispirata folk-song come The Walker (un piccolo inno alla
passeggiata solitaria). Dieci brani autografi, eccezion fatta
per una cover dei Beach Boys esaltata dalla presenza dei dobro
e del mandolino di Mario D’Orrico e Giuseppe Romagno, e il traditional
The Riddle Song (di Pete Seeger e Joan Baez le versioni
più note). D’Orrico si dimostra bravo anche in scrittura, sia
quando si mantiene su schemi rigidamente classici come la lenta
Sigourney Wright, sia quando si veste di cantautorato classico
come nella bella Smile Today, brano in cui Nick Drake non
aleggia solo nel testo che cita Pink Moon. E così anche Mornings
e la title-track sono un piccolo manuale di intrecci tra strumenti
acustici, nella migliore tradizione di un disco di Gillian Welch
e tanti altri, ma D’Orrico se la cava benissimo anche da solo
(Little Wonder) o aiutato dal piano di Dario Della Rossa
in (I Always Wanted To) Stay At Home. Consigliato a chi
cerca un angolo di America anche in Calabria.
Michele
Miko Cantù Letters
Never Sent [mikomusic/
IRD 2019]
Chitarrista e autore brianzolo
con un passato alla guida dei Backseat Boogie, solitamente legato
allo strumento elettrico e quindi ad un linguaggio più rock, Michele
Miko Cantù sceglie per questo passo solista un’impostazione
all’opposto, rifugiandosi nei suoni accoglienti e caldi della
tradizione americana rurale. Il mood che attraversa i dieci episodi
di Letters Never Sent è infatti ispirato alle tonalità
acustiche del folk blues e del country, con una dolce tecnica
in fingerpicking (ma il protagonista si giostra anche al mandolino,
banjo, armonica e pianoforte) che possa accompagnare adegatamente
i versi, spesso riflessivi, mossi fra speranza e nostalgia. Letters
Never Sent è stato concepito e inciso per buona parte in solitudine,
salvo accogliere poi i contributi di diversi musicisti di area
roots italiana, tra cui spiccano la resonator guitar di Paolo
Ercoli, presente nella melodia un po’ retro di Turn Some Music
On e nel passo bluegrass di un’accesa Prison Guard,
oppure la pedal steel di Eugenio Poppi, che accarezza il tono
garbato e naturalmente acustico dell’iniziale Keep on Going.
Otto i brani originali, tra cui spiccano gli arrangiamenti più
ariosi di Millions, con un leggero tappeto di tastiere
e il violino di Davide Monti, e il tono languido di Lay Down
Your Worries, fra lievi contrappunti di piano e armonica,
mentre due sono le cover scelte in sintonia con le atmosfere raccolte
dell’album: una rispettosa Galway Girl di Steve Earle e
la fascinosa e bluesy Been Smoking Too Long di Nick Drake.
Nel finale l’accelerazione country folk di Singapore, ballata
di abbandono e distanza, ricorda i Mumford & Sons degli esordi,
prima che 27 Years Old torni all’asciuttezza del gesto
del folksinger. La cura dei suoni è riflessa anche dalla confezione,
con tutti i testi in inglese e nella corrispettiva traduzione
italiana.
Nandha
Blues Nandha
Strikes Again [Meatbeat
Records 2019]
La bella copertina di ispirazione indiana
(opera di Peter Mogas) non inganni, la parola chiave per capire
cosa ascolterete è tutta nel blues contenuto nel nome della band,
ed è anche quella di quel power-blues elettrico e veementemente
al limite dell’hard rock che fu dei Mountain e di tanti altri
trio-blues dei primi anni settanta. Da lì pesca la slide guitar
di Max Arrigo, leader dei Nandha Blues, e l’esperta sezione
ritmica di Alberto Fiorentino e Roberto Tassone, padroni di casa
di un disco ad alto tasso adrenalinico fin dalle note di 749
Blues, bella apertura impreziosita dall’armonica di Roberto
Guietti e dalla seconda voce di Greg Big Papa Binns. Arrigo scrive
tutti i nove brani, facendosi aiutare solo in Last Note
da Emanuela Robertelli (psicoterapeuta esperta in musicoterapia,
qui impegnata anche ai cori) e da Mike Cullison nella finale The
Mouth Of The Lion. E sono proprio gli ospiti a dare valore
aggiunto ad un disco granitico in puro stile Gov’t Mule, come
il sax di Enrico Benvenuti nell’FM Rock di What You Got
o l’assolo di chitarra di Joe Pitts al termine della gosperl-oriented
Bring Me Some Water. Something Left Behind è invece
una ballatona blues di stampo classico, così come lo swamp-blues
di Cajun Lady che introduce al bel momento acustico di
Busted, con il dobro di Mark Johnson in primo piano. Registrato
in puro spirito live-sound con volumi altissimi, Nandha
Strikes Again, secondo album della band dopo Black Strawberry
Mama del 2013, è una mitragliata di note elettriche utilissima
per rivitalizzare le vostre giornate storte, sfogandovi con una
musica, il blues elettrico, che pare non passare mai di moda.