In copertina - bella grafica dalle
suggestioni vintage - sono riassunte efficacemente le dinamiche
di Let’s Disagree, che nel gioco di sponda
fra armonica, chitarra acustica e piano concentra il suo
fascino fuori moda e la ricerca di un blues dal respiro
antico. Tuttavia non cadiamo nel più frequentato mondo del
cosiddetto blues pre-bellico dalle fattezze rurali, laggiù
nel Mississippi, terra di leggende e mostri sacri, a volte
fin troppo abusati, semmai in un’epoca di passaggio dove
le radici incontravano per la prima volta i club cittadini,
immaginiamo Memphis e dintorni, lì dove il blues si faceva
“urbano”, acquisiva lo swing e gettava le basi per l’avvento
del boogie-woogie.
Protagonisti di questa ricognizione sul campo sono tre musicisti
italiani: la voce e l’armonica di Andrea Palumbo,
band leader con un passato di studi jazz e un’apprezzata
attività di fotografo, la chitarra di Leandro Diana (già
segnalato da queste parti per i suoi lavori di ispirazione
più rock) e il pianoforte di Enrico Damiani. Tutti vantano
collaborazioni nella scena blues italiana e non solo, in
particolare con quella sensibilità, tutta “lombarda” vien
da dire, che musicisti come Max Prandi, Angelo Leadbelly
Rossi, Veronica Sbergia e Max de Bernardi hanno restituito
al genere, proprio mettendosi sulle tracce di un canone
meno inflazionato, tra jug music, jump blues e swing da
vendere. Let’s Disagree si inserisce in questo filone
con un’incisione casalinga (presso lo studio Appartamento
Sonoro di Ruben Minuto) eppure filologicamente perfetta,
che rivede dodici “classici” perduti e poco noti che portano
la firma, tra gli altri, di Tampa Red (all’anagrafe Hudson
Whittaker), Leroy Carr, Joe McCoy (a suo tempo compagno
della grande Memphis Minnie), Amos Milburn, Lucille Bogan
e via discorrendo.
È un tuffo nell’America blues dagli anni Trenta, epoca di
Grande Depressione e proibizionismo eppure di vivacità cittadina,
la stessa che ci porta in dono qui brani come Let’s Get
Drunk and Truck, Bad Bad Whiskey, Sloppy Drunk
Blues o il finale di una Cheap
Old Wine and Whiskey (a firma del misconosciuto
Jack Parker) che sembra annunciare la prossima venuta del
rock’n’roll. Palumbo, come si accennava nato come musicista
in ambito jazz e con studi di sax alle spalle, passa qui
all’armonica, strumento che lo ha ricondotto all’amore per
il linguaggio primigenio del blues, e guida il trio con
leggerezza e quel buon senso del ritmo che occorre per il
repertorio affrontato. Gli manca forse ancora una voce un
poco più attrezzata, che sappia esaltare al meglio tutte
le allusioni e i trucchi degli autori rivisitati, ma qui
vengono in soccorso gli altri due protagonisti, The Smoking
Session: in assoluto il piano di Damiani, vero funanmbolo
della situazione e quello che offre gli spunti solisti più
fiammeggianti (pregevole in You
Gotta See Daddy Every Night), nonché le
trame dell’acustica di Diana, che tengono la materia di
Let’s Disagree (a cominciare dalla stessa title track)
ancorata alle sue origini.
Nell’insieme un album che trasmette amore e studio della
materia, pur con qualche limite di interpretazione, e soprattutto
l’idea non scontata di illuminare altre strade e protagonisti
meno battuti della lunga genealogia blues.