Dai profumi di Samsara ci spostiamo
nella terra immaginaria di Agarthi, ma non
cambiano le fascinazioni, che i titoli degli album bene
riescono a riassumere, per un rock di origine “settantesca”
votato all’improvvisazione e alle contaminazioni sonore.
Avevamo conosciuto il progetto della Chris Zek Band,
dal nome del leader e chitarrista veronese Christian Zecchin,
autore di tutti i brani del gruppo, in occasione proprio
del precedente Samsara,
disco del 2020 uscito in un periodo difficile per la musica
dal vivo (la pandemia aveva bloccato ogni iniziativa) e
che ci auguravamo potesse essere messo presto alla prova
del concerto, per far maturare il repertorio della band
e la sua innata vocazione alla jam strumentale. Agarthi
prosegue quel cammino con sette brani, di cui la title track
interamente strumentale, che hanno assimilato ormai le idee
di Zecchin, qui accompagnato in quartetto con il basso di
Elia Pasqualin, la batteria di Enea Zecchin e le tastiere,
elemento centrale del suono insieme alle chitarre, di Matteo
Bertaiola.
Le suggestioni un po’ esoteriche, tratte dalla letteratura
di genere, che si porta appresso il termine di Agarthi,
a indicare una terra sconosciuta e mitica il cui accesso
sarebbe collocato nel deserto dei Gobi in Asia centrale,
sono legate all’omonimo brano dagli espliciti effluvi latin
rock alla Santana, influenza che emergeva anche in passato
e che oggi si lega alla matrice rock blues e southern di
partenza della Chris Zek Band per avventurarsi in territori
più “progressivi”, che ricordano un po’ l’operazione della
Chris Robinson Band di qualche anno fa. Lo conferma l’apertura
di I Feel Like in Mississippi,
che alle sferzate della chitarra di Zecchin, anche slide,
aggiunge un arrangiamento di tastiere dal procedere psichedelico,
rendendo ancora più evidenti le fonti di ispirazione da
cui attinge il gruppo.
Stagione di rock dalle grandi visioni, raduni oceanici e
lunghe fughe, la musica del quartetto non abita questi tempi
moderni e non sembra neppure preoccuparsene, lanciandosi
nelle atmosfere sognanti di Baby
Blue, nel groove contaminato dal funk di Dancing
with the Fire, dove emerge ancora il contributo sostanziale
delle tastiere di Matteo Bertaiola, o negli oltre sette
minuti finali di una rituale Whispering Blues. Più
contenute e robuste invece le mosse di Peacemaker,
rock blues che acquisisce evidenti accenti southern in Way
Back Home, materiale che non spicca forse per originalità
e che avrebbe bisogno di una parte vocale più aggressiva
e convincente, ma che risulta utile per spezzare l’atmosfera
di Agarthi e riportare a terra la musica della Chris
Zek Band.