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Il chitarrista genovese Paolo Bonfanti, front man negli anni ottanta dei Big Fat Mama in un periodo nel quale i gruppi italiani di rock blues erano una rarità, collaboratore di musicisti blues (e non solo) più o meno famosi come Dick Heckstall-Smith, Bob Brunning, Fabio Treves, Beppe Gambetta e Gene Parsons, ha pubblicato dal 1992 ad oggi numerosi dischi in studio (regolarmente recensiti su queste pagine, ndr), delineando un percorso da solista nel quale ha sempre cercato di focalizzarsi sulla composizione, lasciando in secondo piano le sue indiscutibili qualità di solista. Partendo dal blues ha ampliato il suo raggio d'azione in ambito folk, country e rock creando un mix che rientra in quella che oggi si definisce roots music. E questo Exile On Backstreets prosegue nel cammino da tempo tracciato, aggiungendo sfumature soul e black più accentuate del solito. Un buon disco, vario e interessante, che ha il suo fulcro nella maestosa title track, un errebi che ricorda lo stile di The Band con i fiati in ritmica, un tappeto di hammond, brandelli di testi dylaniani recitati da Bonfanti e un assolo di chitarra degno di menzione. Accompagnato dalla scattante sezione ritmica di Alessandro Pelle e Nicola Bruno, Bonfanti apre il dischetto con il rock trascinante di Father's Thing, punteggiata dai fiati e da una slide insinuante, seguita dall'aspro gospel-soul di Break 'Em Chains, dal ritmato blues di My Baby Can con il piano honky tonk di Henry Carpaneto e un delizioso assolo di chitarra e dal rock blues di Cards, interpretato con voce roca e un po' forzata, nel quale Fabio Treves all'armonica e Marco Fecchio alla slide contribuiscono a ricordare i migliori Canned Heat. Se l'esperimento funky rap di Black Glove non mi sembra particolarmente riuscito (ma può darsi che contribuisca ad interessare qualche ascoltatore in più), non ho nulla da eccepire sullo strumentale Slow Blues dove la fisarmonica sostituisce la voce solista e Bonfanti esegue un assolo jazzato di grande classe. Suscita qualche perplessità anche la cover di Up To My Neck To You degli Ac/Dc, traccia di Powerage trasformata in un rock blues un po' anonimo, a differenza della versione roots di I'll Never Get Out Of This World Alive di Hank Williams con la fisarmonica in primo piano. Mancano all'appello il brillante rock-roots di Take Me Out e la conclusiva I Hate The Capitalist System, cover di una traccia folk degli anni trenta di Sarah Ogan Gunning, tanto esplicita nel testo quanto aggraziata nell'arrangiamento acustico impreziosito dalla dolente fisarmonica di Roberto Bongianino. |