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Alberto
Cantone
C'era
un sogno per cappello
[Storie di Note 2008]
Stefano Barotti, Massimiliano Larocca, Andrea Parodi, Alberto Cantone…
E' assodato: c'è una nuova generazione di cantautori, che faranno "Scuola"
a quelli che arriveranno dopo di loro, e che vanno a sostituirsi a quelli che
da troppi anni vivono di rendita sul nome che si son fatti nel passato, non hanno
più niente da dire e magari rinnegano quello che dicevano un tempo. Che la voce
di Alberto sia tra le più belle del panorama musicale italiano è una novità solo
per chi segue Sanremo e porcherie simili; ora, tre anni dopo il bellissimo esordio
di Angeli e Ribelli, in C'era un sogno per cappello, Cantone mette
dodici canzoni a disposizione di geni, pazzi, sognatori, innamorati delusi (non
necessariamente innamorati di una donna o di un uomo), artisti e viaggiatori,
in modo che possano rinfrancarsi e prendersi una rivincita nei confronti di chi
li disprezza e li denigra eppure, sotto sotto, inconsciamente un poco li invidia.
Strumentalmente ricchissimo, grazie soprattutto alle "invenzioni" del
polistrumentista Sandro Gentile, questo nuovo lavoro è suonato e cantato
da una lunga lista di amici, tra i quali è d'obbligo citare il Maestro Claudio
Lolli, che offre la voce in La mia città,
zenith di un disco veramente straordinario, dove viene cantata probabilmente Treviso,
in un ritratto facilmente accostabile a molte città del nord, sempre più superficiali
e dimentiche della propria storia e tradizione. In La
notte di Hemingway c'è una chitarra che sembra presa in prestito da
Buena Vista Social Club. Il talento si snoda
tra pianoforte e chitarra e sul finire ("…chi ha il talento…dell'aspettare") va
idealmente a legarsi alla successiva La saggezza
ancora con ritmi sudamericani. C'era è l'elogio
delle vecchie cose buone passate ("…c'era un fanale di bicicletta ad illuminare
le nostre sere…), soprattutto passate in compagnia, in giorni dove se non "chatti"
non sei nessuno. Lo specchio è quasi sussurrata,
come fosse una ninna-nanna, oppure una fiaba. Sempre in bilico tra sogno
e realtà è Una nave d'amore, mentre Una
moneta nella testa è un altro dei momenti topici dell'album, con la
follia che si confonde con la saggezza di una persona che, guardando il mondo
"da altre angolazioni", vede forse molto più chiaramente di noi tutti. Importante
anche la successiva I sogni, perché "…sono
concessi solo ai giovani ed ai pazzi, ma da un po' di tempo ai giovani un po'
meno…". Volevo dribblare una stella è l'omaggio
a chi si sente avvilito quando non può, per mille motivi, dare sfogo alla propria
fantasia. Terapia (a firma Marco Napoletano)
e Mal di luna sembrano quasi due possibili
finali alternativi della storia di Alfredo, l'uomo con la moneta nella testa.
Alla fine, nascosta, c'è La vera canzone di Rosellina
e Alberto Cantone, esilarante parodia (da un'idea di Davide Camerin)
delle canzoni del primo disco. Non è messa lì a caso. L'ironia è una delle poche
armi che ci sono rimaste per combattere l'ipocrisia dilagante. (Luca Vitali)
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