Mauro Ferrarese - Wounds,
Wine & Words
[Mauro Ferrarese 2011]
Napoli Urban Folk - Anema
'Nquieta [Indys
2010] The
Blues Collective - Panic
Attack [Drycastle
records 2010]
"There's nothing in my mailbox and all lines are down": non c'è niente nella mia
cassetta postale e le linee non funzionano. E' un verso della splendida Soul
Train, pezzo tratto dall'ultimo disco di Mauro Ferrarese ("registrato
a casa mia nel 2010", recitano le note; grande.); abbiamo apprezzato quest'artista
in più di un'occasione, sin dal suo esordio discografico (avvenuto un decennio
fa), per la sua schiettezza e per la sincerità con cui si fa portavoce di un linguaggio
originario, rinfrancante. Lo abbiamo apprezzato di recente pure alle prese con
altre gemme della tradizione in mano a Veronica e ai suoi Red Wine Serenaders.
La "Soul Train" cui abbiamo accennato prima, non ha la frenesia dei Memphis trains
di memoria Stax; piuttosto è una amara ballata alla Son House, non meno sostenuta,
ma che ci racconta come ancora le emozioni viaggino in maniera analogica, tramite
i postini dell'anima o le linee telefoniche che, più che rotte, sono occupate
da quel Jesus, spesso "on the mainline". Wounds, Wine & Words è
un disco carico di emozione, dell'emozione di Frontdoor
Blues e del pathos di Blue Partner,
di quel carico umano che filtra attraverso la passione dell'artista per il blues
delle origini, back to the 30's. Mauro Ferrarese conosce a menadito la vicenda
dei vari Son House, dei reverendi, di Willie Johnson, delle dodici battute, ora
sacre, ora profane, dipende dalla situazione, conosce il brivido di un bottleneck
che percuote le corde; ha condotto queste storie per strada durante tutto il suo
percorso artistico; ed è capace di filtrare le "sue" storie attraverso questa
esperienza musicale. Come We're All Alive
e Earthquake, "nate durante una visita ai
suo amici de L'Aquila". Non è facile non rimanere dolcemente incantati dalla bellezza
della semplicità di brani come Santo Cielo,
e 1 Thing, così come dalla bravura di Mauro
nel ragtime 26th April; non è facile non rimanere
emozionati da She Said o dalla forza del banjo
in Heaven. Molto bello. (
7) (Roberto
Giuli)
www.myspace.com/mauroferrarese
Singolare e significativa realtà Made in Italy, ma paradossalmente di importazione.
Il progetto Napoli Urban Folk nasce attorno a the Point (Pennsylvania),
il luogo dove i fiumi Allegheny e Monongahela confluiscono a formare il fiume
Ohio, uno dei principali affluenti del Mississippi. Punto di partenza è Napoli,
punto di arrivo Pittsburgh, cittadina americana in cui da tempo si è trasferito
Antonio Lordi, artefice dei Napoli Urban folk, dotato e sconosciuto cantautore
partenopeo. Antonio Lordi compone, suona e canta le sue canzoni con un'innata
ispirazione di altri tempi. Il suo nuovo album Anema 'Nquieta brilla
di freschezza e di poesia, un lavoro intenso che mescola la canzone d'autore italiana
e partenopea con il calore pungente della tradizione blues e folk d'oltreoceano.
Antonio Lordi, se sulla carta appare del tutto nuovo e acerbo, non lo è dal punto
di vista compositivo, con all'attivo più di cento canzoni e due album. Dopo la
pubblicazione del primo album "Niro Niro" (2007), in cui sonorità mediterranee
sposano le atmosfere latine di Veloso, mescolate sapientemente tra jazz e folk
(importante la partecipazione attiva al basso del venezuelano Layo Puentes e del
messicano Lucas Savage ai tamburi), ci giunge il lavoro intimo di Anema 'Nquieta
in cui emergono le influenze della canzone d'autore italiana (Bennato, De Gregori
e Fossati) e il Blues, spirito e struttura (e qui Antonio cita Sonny Boy Williamson,
Little Walter e Howlin' Wolf). Antonio Lordi ha ancora nel cuore la città di Napoli
che cerca di esorcizzare attraverso il blues metropolitano della apprezzatissima
title track, intenso e arrabbiato manifesto di una città che offre solo il suo
triste disagio. I testi sono il punto forte del progetto Napoli Urban Folk e l'amore
è lo snodo tematico ad ogni accordo, ad ogni lirica che anche su un tappeto di
note anonime affiora con convinzione, baciata da una continua e riuscita ispirazione.
Antonio canta rispettando il napoletano, in cui gli riesce sicuramente meglio
('A Guerra è Guerra e Guagliò)
rispetto al corto blues in chiusura Zalameh
interpretata in Inglese; il tutto sempre in armonia con un repertorio in equilibrio
con brani come Làssala, in chiave Veloso mediterranea,
episodi che per semplicità sanno di buono. Il risultato è promettente e illumina
il talento interpretativo di un'artista che ha tutte le carte in regola per decollare
da un momento all'altro. Disponibile su Amazon.com. (
7) (Antonio
Avalle)
www.myspace.com/napoliurbanfolk
L'Italia del blues si affida spesso a stilemi noti ai più, definendo una formula
che poco o nulla ha di originale, se non l'esecuzione di un repertorio personalizzato,
ma riproposto "nello stile di". Così questo "collettivo blues", che suona molto
accademico persino nel nome, riporta nel disco una decina di tracce a maggioranza
cover, in una rilettura dall'approccio molto chitarristico e "vaughaniano", sebbene
lontano negli originali dall'ambito prettamente blues (a parte How
Long Blues di Leroy Carr, stavolta modernizzata in chiave unplugged).
Tre sono invece i brani autografi tra i quali I've Got
A Panic Attack da cui il titolo del presente cd, Panic Attack,
col quale Maurizio "Bozorius" Bozzi (bassista e cantante), Sauro Balducci (chitarre)
e Mauro Giorgeschi (batteria) hanno vinto persino l'edizione 2010 del concorso
Pistoia Bluesin', e suonato al Pistoia Blues. Ora, è noto quanto negli ultimi
anni Pistoia Blues estenda il discorso blues a molti altri ambiti in un concetto
di musica totale, ma se da un lato la cosa potrebbe essere divulgativa, dall'altro
arriva un certo punto in cui non sarebbe poi così difficile confondere le acque.
A metà stanno proprio i gruppi come The Blues Collective, che investono
nel loro chitarrismo di matrice texana dall'(ennesimo) attacco molto rock, abbinato
ad acustiche rivisitazioni "senza spina" (nell'ottica che tale classificazione
ha fatto assumere alla musica acustica ai tempi di MTV) con l'invece più originale
Locomotive Breath dei Jethro Tull, per esempio,
a fronte di un più anonimo intervento sul brano di L. Carr di cui sopra. Nel mezzo
quindi, di nuovo Neil Young (On The Beach;
Vampire Blues), Frank Zappa (Penguin
In Bondage) e persino Personal Jesus
dei Depeche Mode o Forget Her di Jeff Buckley,
in un discorso che "esce dalla porta e rientra dalla finestra", motivo (cioè)
per il quale una commistione di generi (dal rock al blues e viceversa) potrebbe
apparire sì (come affermato prima) un bel melange di musica totale, ma anche confonderne
l'identità di una band che ha scelto forse la forma (il linguaggio, i fraseggi,
gli stilemi) ma non i contenuti (le canzoni, il repertorio, gli autori). Fatto
salvo l'incipit, che parla chiaro e favorisce i documenti di una band che stavolta
è ancor di più "rock collective". (
6) (Matteo
Fratti)
www.myspace.com/bluescoll
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