Registrato dal vivo al SAM Studio di Lari (Pisa)
alla fine del 2022 e pubblicato qualche mese dopo, SoLo,
ultima fatica di Andrea “Lupo” Lupi, giunge sul nostro lettore;
ci verrebbe da aggiungere “finalmente”. Si tratta di un disco particolare
e di notevole livello; d’altra parte, considerato il panorama blues
di casa nostra, lo stesso Lupo (indicato da più parti come bluesman
di lungo corso, il che in buona parte è vero) è un artista decisamente
originale. Lo confermano la sua vicenda musicale, quella extramusicale
e, riferendosi a SoLo, la non comune capacità di concepire un
prodotto tanto “scelto” (in ogni suo aspetto, dai musicisti, alla produzione,
alla selezione e all’arrangiamento dei brani), quanto fresco e coinvolgente;
un disco dai toni sussurrati, spesso minimali, ma molto intenso.
Indi, qualsiasi tentativo di descrivere il personaggio, raffinato polistrumentista
con anni di esperienza alle spalle (non solo in campo musicale), può
rischiare di essere riduttivo. Quanto al genere, semmai avesse importanza,
questo è di ancor più difficile identificazione; le sue intuizioni suggerirebbero
un blues con tanti affini, un caleidoscopio sonoro che spazia lontano,
verso il jazz più sospeso, come verso il funky o il delta fangoso. In
definitiva un universo poetico, sul quale l’artefice appone note ed
emozioni, in modo da rendere protagoniste le canzoni, tra originali
e riletture di pregiata fattura.
Notevoli le cose scritte di proprio pugno, la dolce, acustica atmosfera
di Just a Breath (Fulvio Renzi al
violino) e di Life On a Canvas, accompagnata dall’accordion di
Roberto Molesti (lo stesso che suona il piano in molti pezzi) o la bellissima
Racked Mind Blues (“dedicated to
my son”); e se l’intenso bozzetto di Observing a Wolf Running Through
a Windy Pairie ci trasporta “in loco”, Late
At Night è un blues bollente sottolineato dall’armonica di
Mimmo “Wild” Mollica e dalla chitarra di Nick Becattini: bellissimo
pezzo. Altrettanto convincenti le versioni della ellingtoniana Solitude,
l’intensamente poetica If It Be Your Will di Leonard Cohen (da
Various Positions: asciutta e minimale come piacerebbe a Bill
Fay), Goodbye Pork Pie Hat (Charles Mingus: Lupo al basso e Cris
Pacini al sax tenore), Billy (il Bob Dylan di Pat Garrett), Senor
Blues (Horace Silver), Fairy Tale (Willie Murphy), o ancora
Don’t Let The Sun Catch You Cryin’, scritta da Joe Green e resa
grande da Ray Charles.
Su tutto? La “hidden track”, una crepuscolare, logicamente acustica
Motion Picture (Neil Young dei
tempi di On The Beach), ma soprattutto il valzer disperato di Histoire
d’un Musicien et d’une Putaine, fatidico tocco di classe, come fosse
scritto nella vecchia “zone” parigina, patria di chiffoniers, di Django
e di musette. Ancora accordion, ma anche il clarinetto di Nico Gori,
lo “special guest”. Eccellente.