Midnight Breakfast
Close to the Wall
[Midnight Breakfast 2015]

www.midnightbreakfastbluesband.com

File Under: electric voodoo blues

di Pie Cantoni (02/04/2015)


Ormai il Blues è internazionale e lo si suona dalle calde terre della Hill County fino alla Val Brembana, senza soluzione di continuità e con risultati qualitativamente validi ovunque, tant'è vero che uno dei migliori bluesman attuali - a mio modesto parere - è un certo Ian Siegal, che di americano ha proprio poco ed è abituato più alla corrente del Golfo che al torrido sole che fa crescere forti e robuste le piantine di cotone nelle vaste pianure mississippiane. Quindi non stupiamoci se i Midnight Breakfast, più abituati alla polenta taragna che al pesce gatto fritto, sono bergamaschi, suonano blues dal 1985, hanno registrato quest'ultimo disco (solamente il sesto), Close to the Wall, a Londra e l'hanno mixato nei leggendari Abbey Road studios.

La band, da trant'anni in attività, è composta da Marco Valietti (voce, chitarra), Stefano Albertini (chitarra), Luigi Cortinovis (basso), Fabio Carenini (batteria). Le influenze musicali risiedono tutte nel blues elettrico degli anni '50, da John Lee Hooker (80% JLH direi) a Howlin' Wolf, e se volessimo accostarli a qualcuno di più recente potremmo fare paragoni con il trance-Blues di Otis Taylor. Che la band non sia particolarmente prolifica lo si capisce già dal fatto che hanno registrato solo sei dischi in trent'anni di carriera e il nuovo lavoro conta dieci episodi che hanno un pregio, l'unitarietà stilistica e un difetto, l'unitarietà stilistica, appunto. I brani si succedono praticamente con lo stesso incedere uno dopo l'altro, come se si trattasse di un'unica jam indistinta, in parte ricordando, nella voce e nelle cadenze, il citato Otis Taylor, ma senza avere quel ritornello o quella melodia maledettamente azzeccata che ti fa drizzare le orecchie e battere il piede a tempo. There is a Bird, con ritmo suadente, apre il disco, ed è come velluto, morbido alle orecchie, ma che si consuma (e con esso anche il suo appeal) molto presto. I Missed the Man è il pezzo più movimentato del disco, un boogie uptempo ben fatto insieme alla title track Close to the Wall, che parte bene ma il cui cantato, che cerca di farsi sottile e ricco di pathos a differenza dei toni freddi da crooner degli altri brani, smorza il pezzo, mentre One of These Mornings e You Hurt Me So Bad sono canzoni che soffrono non poco della struttura risaputa del "call and response" tra voce e chitarra e per l'interpretazione indistinta di Valietti (solamente con il testo davanti si potrebbe capire cosa sta dicendo...). Chiude Let Me Smoke My Last Cigarette, l'ennesimo lento che non dà la scossa ma continua con lo stesso mood fino alla fine.

Il disco è ovviamente curato nei suoni, rigorosamente vintage, e la voce di Valietti è a tratti gorgogliante alla Chester Burnett, a volte gracchiante alla John Lee Hooker, ma in alcune circostanze sembra solo un borbottio e inoltre la struttura voce/chitarra che si rincorre in tutte le canzoni è pesante da digerire sulla lunga distanza. L'album mi ha ricordato molto spesso le atmosfere lente e dilatate di un altro disco, "Endless Boogie", e come spesso mi è accaduto ascoltando soprattutto la title track di quel disco, mi domandavo perché il produttore non avesse o raddoppiato la velocità o dimezzato la durata del pezzo, perché ne avrebbe forse guadagnato in ascoltabilità. Ma quello era comunque John Lee Hooker, libero di fare ciò che voleva (anche perché immagino che se qualcuno gli avesse solo proposto di accorciare un suo pezzo, l'avrebbe mandato a stendere senza complimenti). Non che questa sorta di blues ipnotico sia disprezzabile, tuttavia anche il grande JLH (o il suo "discendente" Otis Taylor) sapeva variare tra le mille sfaccettature del suo incredibile repertorio, senza mai ripetersi o autocitarsi troppo.


 


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