Cappellino da trucker e giacca da taglialegna, così si presenta Diego “deadman”
Potron sulla copertina dell’ultimo disco, con sfondo bianco ad evocare il
candore ma anche la desertica desolazione di un paesaggio innevato. Nome che ormai
si sta facendo strada nel panorama musicale italiano, Potron è un artista che,
partendo dal blues, ha allargato gli orizzonti ed espanso i confini, scavando
in un terreno più scuro e introverso, facendosi accompagnare quasi sempre da una
chitarra acustica e da pochi altri strumenti. Dopo il primo disco solista, che
risale a due anni fa, ritorna con un album di inediti, Winter Session.
Il titolo ci porta a scenari desolati, spogli, a tinte buie e atmosfere raccolte,
e sostanzialmente è proprio questo il mood del disco.
Registrato nell’inverno
a cavallo tra il 2017 e il 2018, Winter Session si compone di nove brani che risentono
molto dell’influenza di artisti come Nick Cave, Tom Waits e, senza tralasciare
altri più contemporanei, Duke Garwood e Mark Lanegan. Il primo singolo estratto,
con tanto di video, è Blind Sisters’ Home,
e rappresenta il manifesto stilistico del disco. Chitarre acustiche arpeggiate,
incedere inevitabilmente minore, per un testo quasi recitato che ci cala immediatamente
nelle atmosfere più profonde del disco. In Blue la chitarra si fa più intricata
mentre in Saint Mary, strumentale, si insinua la prima distorsione, alzando
così il carico emotivo del brano mentre diversi strati di chitarre si sovrappongono
per creare il tappeto sonoro della traccia. Poor Boy
(che riprende nel testo il traditional blues omonimo) alza il tiro con un ritmo
più incalzante e con il supporto di batteria e basso. Nel solco del Nick Drake
più intimista, CarnHate, mentre The Hole in the Heart of the Sun
ha venature psichedeliche che la fanno assomigliare al folk deviato di Ryley Walker
incrociato ai primi Pink Floyd. Ancora folk cupo in Detour, mentre si vira
ad un rock moderno e cupo in Death Comes to Your House (che ha molte similitudini
più o meno espresse con Death don’t have no mercy), per arrivare alla fine con
la ballata Song for Willy Bungler.
Il tutto è prodotto dal team
Femore Prod. per l’etichetta Ammonia Records. E se la musica di altri artisti
viene definita desertica, qui, al limite delle Alpi, il deserto cambia forma ma
non sostanza. Il deserto bianco è il luogo dove Diego Potron si nasconde e rintana
per uscirne poi con un lavoro discografico che potrebbe essere stato concepito
ai confini con il Messico, a qualche migliaia di chilometri di distanza. A riprova
del fatto che non esistono barriere né confini, se non quelli che vogliamo imporci.
Soprattutto nella musica.