The Rude Mood - Live
in Ireland
[Ultra Sound Records 2010]
Hot Mama - Volume
1 [Hot
Mama 2010] Locomotive
Breath - Shuffle
Train [Locmotive
Breath 2011]
E' bello guardare l'incanto della verde Irlanda e trovarci un pezzo di casa, facce
già conosciute o quantomeno note, musicalmente parlando. Nel booklet allegato
al cd allora vediamo le foto e ci sono i Rude Mood, tra i cartelli di Rosslare
e le verdi brughiere: sono di Pavia ma guardano oltreoceano, al blues di Chicago
e a uno stile che ha messo l'elettricità a quel suono ancestrale, avviandolo al
rock. Un ritrovato che, checché se ne dica, ci ha riportato alle radici passando
dall'ondata brit-blues e che di riflesso, ha avuto in Irlanda le sue particolari
declinazioni "irish". Ce le suonavano Van Morrison o il povero Gary Moore (com'è
giusto ricordarlo visto che, incline a sonorità più hard ammorbiditesi di recente,
se n'è andato da poco) ma su tutti Rory Gallagher, che esprime quanto di più "celtic"
sia compenetrato al blues attraverso il folklore musicale della sua verde isoletta,
già assunto a componente della musica popolare americana proprio agli albori delle
nostre rootshighways. La musica è quindi on the road e i Rude Mood, il loro personale
"irish tour" se lo sono conquistato, sì come bello è vederseli suonare tra il
Bryary Gap Theatre (Macroom) o a Seananchai (Dungarvan), al Ruby's Club (che per
fortuna non siamo in Italia ma a Waterford..) e al Red Star di Cork: proprio lì
a Cork riposa anche Rory Gallagher e il cerchio si chiude, visto che Irish Tour
'74 era un suo mitico album. Così, non lontani dal cogliere la soddisfazione del
Terlo (Paolo Terlingo, vox & guitar), di Slim (Andrea "armonica" Sacchi), di Alessandro
Bernini, Davide Busnelli e William Moroni (tastiere, basso e batteria), li sentiamo
svisarci il loro blues come più gli piace, dal vivo e in un certo senso, in uno
dei posti dove quasi tutto è cominciato (o quantomeno, dove quella musica che
a noi potrebbe indicare quasi "tutto" ci ha passato un momento significativo della
sua storia). Eccovi dunque un inizio in sordina, jazzy & "talkin'", (Talkin
With The Blues, appunto) ma che prosegue jammando su That's
Enough neanche fossimo a fine concerto. Un approccio barrelhouse che
prende quota piuttosto nella migliore Blues For Breakfast,
carica emotivamente quanto ci aspetteremmo da un album live on the road come questo.
Peccato si perda e si ritrovi ancora, su alti e bassi che ricompaiono con Nothin'
Wrong e Wittgenstein Shuffle e
scompaiono salutando su Just Like You. Riportando
tutto a casa, allo Smoking Studio di Pavia per l'acustica Danielle
e i titoli di coda dei sogni di blues di chi, nonostante tutto, è riuscito ad
alimentarli anche portando la propria musica lontano. (
7) (Matteo
Fratti)
www.therudemood.net
-"Dobbiamo rimettere insieme la vecchia 'bbanda ! ". Sembra questo il leit - motiv
che permea lo spazio conquistatosi su disco dagli Hot Mama, approdati a
un Volume 1 che sa di festa, arrivo e partenza per una nuova avventura
che non ha mai smesso di esistere. E' questo allora lo spirito con cui gli otto
elementi dell'orchestra cerimoniale al tempio di Spaziomusica, Pavia, si sdebita
col pubblico di una vita su di una testimonianza audio, fatta con passione e indipendenza,
proprio tra Pavia e Piacenza: nel nome del Rhythm & Blues più classico, dei fratelli
Jack ed Elwood "The Blues Brothers" e del repertorio di cent'anni, da sempre fondamentalmente
live. La comparsa delle tracce in questione sul supporto fonico (più che un cd
sembra un piccolo LP) è allora il coronamento di un progetto che non ha mai perso
lo smalto iniziale, nell'essere vivamente partecipi on stage di quel che succede
nei propri paesaggi sonori. Il disco quindi è soltanto una tappa che non inficia
alcunché del divertissment che Emanuela Tacchini e Carlo Botteri
mettono in scena, accompagnati dal binomio ritmico di Angelo Soffritti e Massimo
Antoniotti per basso e batteria, con Claudio Menna alle chitarre e Marco Casasco
ospite alle tastiere, i fiati di Max Paganin e Gianluca Romanini, rievocando con
amici e compagni di strada i fasti di un amato sounds good gravido di soul, nelle
cover passanti da Carter a Robinson, Joplin o Taylor, senza produzioni autografe
ma facendo propri gli ascolti che nel tempo, hanno segnato la propria compartecipazione
a un granello di questa storia. E' quanto si coglie dall'autoproduzione ivi descritta,
apprezzabile già di per sé per l'omaggio divulgativo a un repertorio inflazionato
nel settore, ma gradito a una fetta più ampia di pubblico che si intrattiene alla
festa e che è poi all'origine del funk, del rhythm e del blues corale della faccenda.
E anche se non eccelle nel dettaglio sonoro, al Volume 1 degli Hot Mama, come
dice il Blues - Jay Edo "Catfish" Fassio, loro mentore, potrebbe sempre seguirne
un "Volume 2" e poi, se live dev'essere, live sia. Anche in queste registrazioni,
che aprono con I'Ain't Got You e 634
- 5 - 789, Get Ready o The
Memphis Train dall'approccio senza fronzoli, fino alla Try
(Just A Little Bit Harder) tra i pezzi dalla resa più ardua del lotto.
Le bonus ci regalano inoltre la partecipazione di ospiti della scena pavese e
non, da Maurizio "Gnola" Glielmo a Sergio "Tamboo" Tamburelli, fino a Pippo Guarnera
e Bobby Johnson, a una chiusura che non poteva essere che dal vivo visto che gli
Hot Mama sono questo, maestri cerimonieri di un juke-box ritmico ambulante. (
6.5) (Matteo
Fratti)
www.myspace.com/hotmamasoulband
All'esordio
i quattro Locomotive Breath si giocano tutta la loro passione per il blues
e per quello che rappresenta: non tanto o non solo come stile musicale, quanto
come vera e propria filosofia di vita, modo di vedere il mondo, citando nel breve
scritto all'interno del cd parole quali rabbia, anima (e quindi soul, parente
stretto diremmo noi del blues) e naturalmente sofferenza. Buona introduzione,
non c'è che dire, a cui segue una prova d'orchestra che serve al quartetto di
origini toscane per delimitare un po' i confini del loro approccio alla materia.
Qui sembra esserci, nonostante tutta la convinzione possibile, ancora qualcosa
da mettere a fuoco, anche se lo spirito dell'esecuzione e una certa "maleducazione"
nel sound sono una dimostrazione della rabbia menzionata. Il nome della band sembrerebbe
richiamare immediatamente un approccio "bianco" e rock alla materia, tanto il
brano omonimo dei Jethro Tull ci rimanda ad alcuni tratti comuni del british blues,
ma in verità nei quattro brani autografi dei Locomotive Breath si repsira più
aria di Texas passando per la classica scuola Chicago. Certamente a Steve Ray
Vaughan qualcosa deve la stessa Shuffle Train,
esplicita anche nel titolo, mentre la partenza bruciante con Coffin
Oversize (He Didn't Know), nervosa e trascinante, è forse il migliore
biglietto da visita che ci possono offrire a questo giro. Suggestiva intro blues
acustica (che poi ritornerà nel finale) che si colora immediatamente di rock'n'roll
arrembante, senza badare troppo alle belle maniere. Anche la successiva Faster
punta sul groove, più penalizzata però dalla resa complessiva, sebbene con il
prosieguo il blues feeling dei Locomotive Breath si addomestichi un poco, tanto
che sia Keep on Running sia Shuffle
Train ripetono schemi prevedibili, ancora da limare nell'interpretazione
e nell'arrangiamento. È tuttavia la testimonianza di un buon sentimento su cui
lavorare in futuro, anche perché la scelta delle tre successive cover non aggiunge
molto al piatto di Shuffle Train: Pistoia
Blues di Nick Becattini, Girls
di Leo Boni e le trame funky di Windy City Blues
a firma Fabio Treves sono certamente un bel tributo alla scena italiana e una
scelta persino coraggiosa nel non ripescare i soliti standard, ma in tutta sincerità
non sembrano neppure brani in grado di fare la differenza. (
6) (Fabio
Cerbone)
www.locomotivebreathband.it
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