Staggerman -Don't
Be Afraid and Trust Me [Staggerman
2012]
Il nome curioso lo abbiamo incrociato più volte, sia da solista sia celato sotto
altre avventure sonore: infatti Matteo Crema, in arte Staggerman, non solo
ha debuttato in questa veste con l'album Tiny Tiny Tiny, ma ha fatto parte a più
riprese dei progetti Union Freego (ancora oggi una meteora alt-country italiana
che ha avuto poca fortuna rispetto alle qualità mostrate), Van Cleef Continetal
e Bogartz, realtà da cui ha tratto amicizie e collaborazioni per lo stesso
Don't Be Afraid and Trust Me. Ronnie Amighetti ad esempio, che produce
e offre qualche spunto fra chitarre, percussioni e voci, e ancora Lorenzo Colosio
alla batteria, solamente alcuni dei musicisti che guarniscono il piatto più ricco
e elaborato rispetto al citato esordio. Lo si intuisce anche dalla cura grafica,
un elegante cartonato con tutti i testi e scarni disegni che alludono un poco
alla natura stessa della musica di Staggerman, uno che ha il coraggio di aprire
un disco con il dolente passo acustico in minore di Maybe
I Won't. Staggerman resta, come già segnalato in passato, un folksinger
sotto le mentite spoglie di un suono che ammicca alla "bassa fedeltà" di certo
indie rock americano (tra gli Eels evocati esplicitamente in Skinny
Pretty Freak, o il Beck più cantautorale, anche se un nome che spesso
salta alla mente è quello di David Berman dei Silver Jews), senza peraltro lasciare
in un angolo la tradizione (i chiaroscuri malinconici di Morning
Walk e Everything is Nothing). Anzi, va detto che Don't Be Afraid
and Trust Me si muove in tal senso con una maturità più spiccata, tentando alcune
sortite in aperto campo rock, tra i fiati e il soffio soul di (Not)
the Man I Used to be e il crudo hard blues elettrico di The
Night I Saw You Stripping. La strada è quella giusta. (Fabio Cerbone)
Introdotto
da un tema strumentale suggestivo, Listen to the Wind, ricco di implicazioni
western e persino attraversato da un soffio di vento del deserto, Heaven
Isn't Gold ci introduce al folk rock scuro dei 2Hurt, formazione
che ha maturato già in un album di esordio (Words in Freedom) e nel successivo
ep A Better Day un approcio singolare e assai crudo alla materia della tradizione
americana. E' innegabile infatti che dalla mansueta Barbed
Wire Dreams alla solitudine acustica di Lawless,
passando attraverso un gorgo di folk blues nero e psichedelico (Medicine
Man), i punti di riferimento stilistici trovino nella memoria delle
radici americane un luogo di partenza, eleborando poi un suono tetro e malinconico
che supera tale matrice, alla ricerca di qualcosa di più personale. Vengono in
mente per la teatralità sussurrata della voce di Paolo Bertozzi (storico membro
dei Fasten Belt, piccola leggenda punk italiana) e per l'incastro fra tese chitarre
elettriche e violino (Laura Senatore, essenziale nella creazone del sound) alcuni
onirici passaggi dei Velvet Underground, magari alle prese con un'inedita jam
in tono dark blues con Mark Lanegan. I 2Hurt sono efficaci in questa formula nei
passaggi più docili e distesi (It's Midnight)
o quando le trame si dilatano lasciando galoppare il violino (Lost
Soul Train). Nella ricerca invece del più ruvido impatto elettrico
e nella eccessiva forzatura della voce di Bertozzi, qualche episodio mostra un
po' la corda, più incline forse a favorire un impatto "violento" e di istinto
e meno a dare piena forma al brano stesso, complice anche una produzione a volte
sin troppo spigolosa. Comunque un lavoro intrigante sulle radici folk e fuori
dagli schemi soliti della scena indipendente nazionale. (Fabio Cerbone)
Spaghetti
Jensen - You
Can Do It [Spaghetti
Jensen 2012]
Il nome lo avrei cambiato all'istante, ma queste sono personali questioni di gusto
del vostro recensore, anche se devo ammettere che per una band tutta italiana
che sogna l'America più mitologica e tradizionale, Spaghetti Jensen (storpiatura
di uno slang tutto statunitense per indicare le intersezioni delle grandi arterie
stradali) rende bene l'idea dei contenuti e delle ispirazioni che troverete nei
solchi del loro album di esordio, You Can Do It. D'altronde la grande
highway immoratalata sulla copertina dovrebbe già darvi un'idea delle passioni
di questi quattro ragazzi emiliani, cresciuti tra feste e festival della provincia
con il loro rock'n'roll dagli aromi Americana. Alternando robusto southern rock,
figlio di Lynyrd Skynyrd e consanguinei, ballate che hanno un po' l'impronta dell'attuale
scena country texana e qualche tocco più rurale nell'uso del banjo, gli Spaghetti
Jensen potrebbero tranquillamente essere scambiati per un prodotto della scena
'Red Dirt', ovvero sia quel sottobosco di rock band fra Texas e Oklahoma che da
anni monopolizza il mercato roots americano del South West. Non fosse per qualche
ingenuità di produzione (ma la tecnica è impeccabile), il country rock di This
is the Time e About a Song, il
galoppare di She Likes Drive e I
Wil Be For You, che mostrano anche qualche ispirazione bluegrass, il
marchio sudista di Keep Hard e Going On
Music Time potrebbero essere figlie di tanti musicisti passati su queste pagine.
Ora occorre quel salto di personalità per acquisire meno dipendenza dai modelli
di riferimento. (Davide Albini)