Matt Waldon
Grow Up
[Arkham 2017]

www.mattwaldon.com

File Under: ITAmericana

di Nicola Gervasini (25/12/2016)

Seguiamo Matt Waldon da molto tempo ormai, fin dai suoi esordi con i Miningtown, e da allora l'artista di Rovigo ha fatto molta strada. Il primo importante salto di qualità è arrivato nel 2014 con l'album Learn To Love, dove l'ospitata di Kevin Salem, presente nel precedente October, ha assunto le connotazioni di una vera e propria collaborazione continua, seppur a distanza di oceano. Grow Up conferma il vecchio chitarrista dei Dumptruck (di cui tra l'altro attendiamo trepidanti il ritorno a breve con un disco che si intitolerà Kingdom of the Young) nel ruolo di ingegnere del suono e, potremmo dire, produttore ad honorem, anche se Waldon si assume sempre l'onere del ruolo.

Già il video del singolo Save Me aveva fatto intuire un nuovo passo avanti, e non solo perché il brano colpisce nel segno e la chitarra di Salem fa sempre la differenza, ma perché Matt sta finalmente trovando un suo stile personale nell'uso della voce, che non era certo il suo punto forte. Non era forse gente come il buon Paolo Conte o Enzo Jannacci (senza arrivare a citare banalmente Dylan) ad averci insegnato che si può cantare alla grande anche con una "brutta" (e spesso pure stonata nel loro caso) voce? Basta saperla usare, e qui sta la grande differenza di Grow Up, album ben pensato fin dall'inizio strumentale di Hungry Bears, in cui il chitarrista Carlo Toffano si traveste da musicista sperimentale per una ipnotica jam che verrà ripresa a lungo anche a fine album, con la memoria che va a certe strane code strumentali dei cd anni 90 (chissà perché mi viene in mente la Master/Slave che chiudeva Ten dei Pearl Jam, anche quella richiamata in apertura di disco).

Il disco vero e proprio parte bene con tre titoli in una progressione matematica (7 Beers, 14 Rooms, 21 Cigarettes) che sarebbe stato persin bello tenere fino alla fine, in cui Waldon passa dai fantasmi d'amore immaginati da un "pale poor kid from an English Town" intento a dialogare con sette birre sul bancone di un bar, al fumatore incallito fiero di pagare il prezzo dei propri vizi. Un filo logico tipico del moscone da bar tanto caro all'immaginario rock che immancabilmente cerca redenzione nell'amore (Save Me) e nella riscoperta dei propri affetti (la lettera alla madre di ?!%$). Si finisce con l'andamento minaccioso di Gone Girl, caratterizzato dal violino di Chiara Giacobbe, e il roccioso finale all'insegna di un crescendo blue-collar-rock di You'll Never Get Back, No Slaves e Grow Up, animate da un suono molto elettrico e da una base ritmica spesso muscolare.

Confezionato in lussuosa copertina lucida con tanto di plettro personalizzato in allegato (sintomo di puro amore a perdere per la materia rock), Grow Up si allinea alle produzioni più interessanti dell' "ITAmericana" alzando volumi e elettricità.


    

 


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