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new honky tonk heroes di
Davide Albini (25/09/2018)
Cody
Jinks entra dalla porta principale della country music senza abdicare al suo
stile, quello che lo ha reso uno degli artisti di punta del rinnovato movimento
outlaw. Una manciata di dischi indipendenti e un seguito crescente, fino all'affermazione
presso il grande pubblico di I'm
Not The Devil nel 2016, hanno condotto il ragazzo texano di Haltom
City alla firma per la Rounder, etichetta storica nell'ambito della musica roots
americana, che può offrire tutto il sostegno mediatico di cui ha bisogno un artista
come Jinks. Lifers, una sorta di manifesto per tutti i rinnegati
e quelli che vendono cara la pelle sulla strada, è un album che costruisce la
sua tenuta musicale sulle certezze del passato, magari con una produzione in formato
deluxe e suoni più accattivanti, ma non allontanandosi molto dalla formula rock'n'country
del passato.
Cody d'altronde è arrivato alla tradizione passando dall'heavy
metal frequentato in gioventù, gli è rimasta addosso un po' di quella trasgressione,
a volte anche di maniera lo sapppiamo bene, comunque radicata in una terra come
quella texana. I suoi eroi restano Waylon Jennings e Willie Nelson, a cui aggiunge
un brivido di heartland rock alla Mellencamp, come si può cogliere nell'apertura
di Holy Water, rock dal timbro stradaiolo
con la pedal steel di Austin Tripp che impazza e un paio di voci femminili che
non guastano, a riscaldare l'atmosfera sudista del brano. L'anima di Jinks è chiaramente
blue collar, ci racconta con taglio autobiografico di amori e occasioni perduti,
dei soliti vizi legati alla bottiglia (Must Be The Whiskey), della voglia
di emergere nonostante tutti gli errori. Si tratta di una carrellata di immagini
che potremmmo persino considerare scontate, ma stiamo parlando di un disco di
genere, che proprio su queste coordinate basa la sua forza: la solidità di Lifers
non risiede soltanto nel sound robusto della band, che macina torrido honky tonk
elettrico in Big Last Name e Can't Qui Enough,
ma anche nella sua fedeltà alle regole della tradizione, che vuole rompere ed
osservare al tempo stesso.
Non passa certamente da qui la sensibilità
d'autore della scena americana, e forse non tocchiamo nelle ballate (Colorado,
Stranger, la scura 7th Floor) i vertici
che può offrire la voce e il songwriting di Chris Stapleton, per citare uno spirito
affine che ha infiammato Nashville di recente, eppure Jinks riesce a tenersi in
equilibrio tra inferno e paradiso. È credibile sia quando si pone nei panni del
country crooner più romantico in Somewhere Between I Love You and I'm Leavin'
(che è un po' la metafora del suo stesso spirito musicale), sia quando veste
l'abito scuro dell'eroe western in un'epica Desert Wind,
con il vociare basso delle chitarre e la steel che soffia in lontananza, a riportarci
alla mente il migliore Johnny Cash.