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Jeremy Pinnell
Goodby L.A.
[Sofaburn records 2021]

Sulla rete: jeremypinnell.com

File Under: electric honky tonk


di Fabio Cerbone (29/10/2021)

Avevamo incrociato Jeremy Pinell nel 2015, in occasione del suo esordio solista OH/KY. Quella abbreviazione stava per Ohio/ Kentucky, il primo riferimento per il grande fiume americano e il secondo per il luogo di origine di Pinell, cresciuto in una piccola comunità rurale a nord dello stato. Nel frattempo la sua carriera è proseguita nel solco di quel classico suono country rock che lo aveva rivelato, e sempre per l’indipendente Sofaburn, attraverso il secondo lavoro del 2017, Ties of Blood and Affection. Una conferma del suo nome tra i nuovi cantori del South East e del Midwest americano, quella immensa fascia di laborioso e spesso dimenticato territorio situato nel cuore dell’America, agricolo e operaio, che molti talenti ci ha regalato in questi anni.

Pinnell non regge ancora il confronto con Ian Noe, Sturgill Simpson o Chris Stapleton, per citarne alcuni dei più brillanti, ma la sua musica e lo stesso songwriting sono maturati, anche grazie all’intervento del produttore e chitarrista texano Jonathan Tyler, che ha curato la produzione di questo terzo album, Goodby L.A., coinvolgendo nelle sessioni anche il violino di Cody Braun (Reckless Kelly). Un disco dall’anima sempre molto ruspante, che non rinnega affatto le radici honky tonk del musicista, ma aggiunge alcune impreviste note soul (Red Roses, forse la migliore ballata in scaletta) e contaminazioni r&b (il grasso sax baritono che si affianca in Rosalie), qualche volta avventurandosi anche in arrangiamenti più robusti e dal timbro sudista. È il caso quest’ultimo dell’accoppiata fra slide guitar e piano nell’iniziale Big Ol’ Good, brano che scorazza liberamente in riconoscibili territori southern rock, proseguendo poi nel respiro texano di ballate come Wanna Do Something e Cryin’.

La voce di Pinnell, emotiva e roca al punto giusto, è l’ideale compagna per il suono creato dal gruppo, essenziale espressione di una tipica bar band americana cresciuta con dosi bilanciate di country e rock’n’roll. Onesto è l’aggettivo che più vale la pena di spendere nei confronti di Pinnell e della sua musica, la quale mette i sentimenti e le esperienze quotidiane al centro dei testi, senza fare mistero delle asprezze della vita. Tutto questo si traduce spesso in un incalzante honky tonk elettrico che si riallaccia agli album precedenti, soltanto con maggiore sicurezza e padronanza dei mezzi: Nighttime Eagle e Doing My Best sono un’ode al twangin’ sound più verace, quello modellato sulla legge delle Telecaster, prendendo appunti da Dwight Yoakam (la stessa Goodby L.A. ci va molto vicino) e naturalmente dai numerosi maestri outlaw texani. Come dire che il nostro Jeremy staziona sempre lì in mezzo al guado, pronto a combattere la sua battaglia (Fightin’ Man), consapevole, come si diceva un tempo, di essere troppo country per il rock e troppo rock per il country. Insomma, il destino degli outsider.


    


<Credits>