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JD Clayton
Long Way from Home
[Mulberry Records 2023]

Sulla rete: jdclaytonofficial.com

File Under: americana troubadour


di Fabio Cerbone (07/03/2023)

Partiamo subito dal dato più interessante: questo disco suona alla grande, sia in termini di arrangiamenti e qualità dei musicisti, sia nella produzione, curata a Nashville da Thomas Dulin. Non è una constatazione banale, per il semplice fatto che si tratta di un album indipendente, ulteriore dimostrazione che quel divario, una volta assai più netto, fra le cosiddette produzioni mainstream e tutto ciò che resta, è andato nel tempo assotigliandosi, permettendo anche ad autori giovani e sconosciuti di proporsi con credibilità. Se poi aggiungiamo alla ricetta una bella voce e canzoni di buona fattura “neo-tradizionalista”, ci rendiamo conto che Long Way From Home, debutto sulla distanza di JD Clayton, è un disco che, pur senza rivoluzionare alcunché all'interno di un genere, può giocarsela alla pari e superare persino molta della paccottiglia che spesso viene spacciata oggi per country music.

Con una breve introduzione acustica, Hello, Good Mornin’, che sembra voler rassicurare sulle origini da folksinger di Clayton, ragazzo cresciuto al confine tra Arkansas e Oklahoma in una piccola città fluviale, Long Way From Home si proietta immediatamente nel suono country rock dai forti accenti sudisti di American Millionaire, tracciando un ideale ponte con musicisti come Chris Stapleton e Jason Isbell, punte di diamante del movimento in questi anni. JD Clayton è l’ultimo arrivato, deve farsi sicuramente le ossa, ma con un solo ep di debutto alle spalle (Smoke out the Fire,2018), pare abbia già bruciato le tappe, proponendosi adesso con uno stile definito che sa di lunghe miglia percorse nel deep south e poi via verso l'Ovest, da qualche fra Nashville, Memphis e Austin.

Figlio di un predicatore e di una pittrice, ha persino la biografia giusta (tradizione da una parte, gesto artistico dall’altra) per convincere i più scettici, ma potremmo anche limitarci soltanto alle canzoni di questo album: scoppiettante in Beauty Queen, classico in una ballata come Goldmine, un po’ country soul nella stessa title track, quindi pronto a ingranare la marcia più elettrica del southern rock in Heartaches After Heartbreak e Cotton Candy Clouds, strizzando l’occhio ma senza esagerare al sound accattivante dell’Americana moderna.

Come anticipato, i meriti di JD (che scrive bene e canta con altrettanta convinzione) sono da dividere con la squadra messa insieme dal produttore, che vede la presenza in studio di altri giovani talenti come quelli del chitarrista Daniel Donato, del jolly musicale Patrick Lyons (dalla pedal steel all’armonica, passando per dobro, mandolino e banjo) e di Ben Alleman al piano e organo. Sono loro a rendere spumeggianti le tracce del disco, esaltando i toni romantici (Different Kind of Simple Life, la più compiaciuta e furbesca fra le ballate in scaletta), quelli più agresti (il finale con Sleepy Night in Nashville) e infine ridando una spolverata alla famosa versione del traditional Midnight Special proposta dai Creedence di John Fogerty, qui rivisitata con un arrangiamento molto simile all’originale, dove risalta soprattutto la performance vocale di JD.

Niente male per un ragazzo che aveva cominciato per scherzo ad esibirsi su qualche palco, soltanto per pagarsi la retta all’University of Arkansas.


    


<Credits>