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Tim Grimm
The Little In-Between
[Cavalier/ Appaloosa Records 2023]

Sulla rete: timgrimm.com

File Under: conversazioni folk


di Fabio Cerbone (16/05/2023)

Songwriter, coltivatore, padre di famiglia (e con figli a loro volta musicisti, nella Family Band che spesso lo ha affiancato), un tempo anche attore in cerca di fortuna, Tim Grimm è un musicista le cui vicende artistiche seguiamo con interesse da qualche anno, sempre sottolineando l’integrità del suo gesto folk, il legame forte con l’America rurale e con quel racconto che ha i suoi padri nobili nella canzone che fu di Woody Guthrie e Ramblin’ Jack Elliott (con il quale, non a caso, Tim ha stretto una lunga amicizia), John Prine e naturalmente Bob Dylan e Townes Van Zandt. Le citazioni servono soltanto a inquadrare stile e portamento delle canzoni di Grimm, a renderlo partecipe di un lungo fiume che scorre nelle vene del cantautorato Usa, senza per questo volerne sminuire l’efficaca con accostamenti che farebbero tremare le gambe a chiunque.

The Little In-Between è l’ultimo tassello in ordine di tempo di questo mosaico, un album in buona parte composto da ballate country folk austere e profonde, che sembra proseguire il discorso del celebrato Gone, quest’ultimo nato in tempo di pandemia e scomparse (anche di amici personali) e che ci aveva colpito proprio per la sua intensità emotiva e poetica. Qui i frutti non cadono distanti dall’albero principale, sebbene Tim Grimm volga lo sguardo verso cenni più autobiografici, scorci della propria vita e della proprie radici, dalle rievocazioni dei genitori nella title track alla figura del padre in New Boots alla sua stessa carriera in Twenty Years of Shadows, e naturalmene a quella fattoria tra le colline dell’Indiana che ha dovuto adesso lasciare alla volta dell’Oklahoma (The Leaving, The Breath of Burning) e che rimane il piccolo angolo di mondo da cui osservare l’umanità intera (I Don’t Know This World).

Nove ballate che parlano un linguaggio basilare, trattenuto nei suoni e tutto concentrato sul binomio fra il picking acustico della chitarra del protagonista e la voce stessa di Grimm, roca e densa nell’incedere, anche se qualche volta troppo indulgente con l’idea che basti a sorreggere tutta la casa. Fatta eccezione per una parca sezione ritmica, con la chitarra elettrica e la pedal steel di Sergio Webb (già al fianco dello scomparso David Olney, altro nome che viene facile accostare in questa sede), incise a distanza negli studi di Jono Manson a Santa Fe, e qui presenti soltanto in Lonesome All The Time e Twenty Years of Shadows, il resto delle composizioni si mantiene nei binari di un country folk liricamente intenso, che utilizza esclusivamente il violoncello di Alice Allen - il cui contributo è stato registrato in Scozia - per sostenere la forza del racconto musicale.

Avvolto in questa rigorosa introspezione acustica, The Little In-Between è un disco che sembra avere scelto di far risaltare più i testi (e in questo senso è meritoria più che mai l’edizione italiana proposta dall’Appaloosa Records, con tutte le traduzioni a fianco degli originali) e meno quegli spunti tra Americana e old time music che davano una certa vivacità ad altri lavori di Tim Grimm. Tra la scura intensità e il tono minaccioso di Stirrin’ Up Trouble e lo spiraglio di luce e amore di Bigger Than the Sky, due chitarre in dialogo e ancora l’ombra di John Prine a proteggerlo, Grimm ci accompagna in una sorta di conversazione privata, alla quale servirebbe soltanto una maggiore capacità di affabulazione musicale per coinvolgerci fino in fondo.


    


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