“La pietra di volta del granaio dove ci siamo sposati
era puramente decorativa o era portante?” si chiede Colin Halliburton,
l’anima dei Roseline: non saprei dire se metaforicamente oppure
no, ma forse non importa. Il significato del brano che dà il nome al disco
e il via alle danze (si scherza, perché c’è poco da ballare) però è chiaro:
la pietra di volta che regge il suo sensibile cuore di cantautore è, in
questo caso, la moglie, ma dal privato il brano si espande sul nucleo
tematico che affligge e tormenta gli animi di tutti in questo mondo, ovvero
chi, o cosa, ci sorregge? O ancora meglio, chi è in grado di amarci e
diventare per noi il nostro punto saldo?
Non solo trovare la risposta non è semplice, ma non è facile neppure,
una volta trovata, mantenerla viva, perché ogni relazione non è indolore,
dice subito Colin nella prima strofa, mentre un dondolante pianoforte,
pronto ad addormentarti, e un corollario di strumenti e suoni tipicamente
country (anche se i nostri si collocano nel contesto semi-alternativo
dell’alt-country: in questo caso, un incrocio tra rock e country) lo accompagnano,
senza mai prendersi troppo spazio, lasciando i riflettori accesi sulle
parole del cantante (come tipico del genere).
Keystone of the Heart, l’ottavo disco dei Roseline, è discreto.
Si lascia ascoltare, ma è come una linea dritta, per fortuna non infinita,
che procede senza increspature, salite o discese: è un segmento che va
dal punto A (la già citata Keystone of the Heart) al punto B (Lopsided
Luck, la nona traccia), con pochi momenti memorabili, a mio modesto
parere. L’unico episodio che mi ha lasciato un’ottima impressione è Dimed:
il suono di archi sullo sfondo dà respiro e speranza al brano, mentre
Colin Halliburton canta del proprio, col pensiero anche alle figlie, con
necessità di scovare del bene, soprattutto quando il male è tutto intorno
a lui, una cappa opprimente da cui però si può sfuggire, pure con una
menzogna: “Sento il bisogno che il palmo della mia mano sia letto da una
chiaroveggente o da un profeta, qualcuno, insomma, che possa darmi una
prospettiva di bene all’orizzonte, per le mie figlie e le loro vite. Oppure
le racconterò una buona menzogna”.
Per me non c’è altro da segnalare: a chi seguiva i Roseline (Good
Grief l'ultimo album segnalato, del 2020), anche questo lavoro piacerà,
altrimenti sarà dimenticato abbastanza in fretta. Il gruppo originario
del Kansas sa suonare, ovviamente, ma, più semplicemente, non si distingue
dalle uscite medie del genere.