Tra le tante nuove voci del sud che stanno ridando
slancio al genere, JD Clayton è un songwriter originario di Forth
Smith, Arkansas, che avevamo incontrato per la prima volta due anni fa
in occasione del suo esordio sulla distanza, Long
Way From Home. Si ripresenta all’appello con un secondo capitolo,
Blue Sky Sundays, che da subito mi è apparso come
la sua grande occasione, se non altro perché si è messa di mezzo la Rounder,
marchio discografico di un certo prestigio, che curerà la distribuzione
per il solo mercato americano.
La musica di Clayton trasmette quell’inconfondibile sapore southern
di un ragazzo cresciuto in quelle terre, figlio di un pastore (il padre
lasciò il lavoro per dedicarsi alla predicazione) e che ha poi preso la
sua strada da vagabondo, studiando all’Università statale e facendo le
valigie per Nashville, inevitabile punto di approdo per molti autori.
Le difficoltà non sono mancate, cercando insieme alla giovane compagna
di tenersi a galla con lavoretti saltuari (anche in una compagnia di trasporti)
mentre nascevano le prime canzoni. Nashville dà e Nashville toglie, insomma,
e allora Blue Sky Sundays è il disco con il quale JD si riappropria
delle sue radici in Arkansas, fa ritorno a casa, almeno idealmente nei
testi, e compone una serie di brani (più una cover di Give Me One Reason
di Tracy Chapman) che trasmettono un felling ancora più sudista rispetto
al lavoro precedente: lì c’era country d’autore in abbondanza, qui invece
soul, southern rock e swamp music si fanno più presenti nella scrittura
di Clayton, che apre con i colori memphisiani e vivaci della prima traccia,
Let You Down, sostenuta dagli interventi
dell’organo e di una chitarra elettrica un po’ acidula.
Prodotto dallo stesso Clayton nei Sound Emporium Studios di Nashville,
con la supervisione al mixaggio di Vance Powell (Sturgill Simpson, Chris
Stapleton), è evidente che Blue Sky Sundays si riaggancia a tutta
la musica outlaw e country rock degli anni Settanta, ricordando altri
giovani colleghi, tra cui citerei Charles Wesley Godwin e Brent Cobb,
con i quali JD ha condiviso il palco in diversi festival, compreso il
famoso Bonnaroo. La decisione poi di avere inciso con i propri musicisti,
la stessa band che lo ha affiancato dal vivo dal 2023 ad oggi, mi pare
che renda un buon servizio alle canzoni, forse non eccelse per originalità,
ma suonate con piglio vivace, come l’honky tonk di Dirt
Roads of Red, il dittico di classiche ballate southern rock
Slow & Steady e Dance Another Dance, o ancora la più robusta
Arkansas Kid, ispirata per ammissione
di JD alla Mississippi Kid dei Lynyrd Skynyrd, mentre Madelene
e High Hopes & Low Expetations risaltano il lato agrodolce del
musicista, un giovane autore che sembra voler portare avanti la fiaccola
della tradizione dei grandi troubadour americani dei 70s.