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Ben de la Cour
New Roses
[Jullian Records 2025]

Sulla rete: bendelacour.com

File Under: dark folk-rock


di Paolo Baiotti (28/06/2025)

A due anni di distanza da Sweet Anhedonia, il cantautore Ben de la Cour approda al sesto album solista con New Roses. La vita di Ben è stata a dir poco avventurosa: cresciuto a Brooklyn, ha vissuto a Londra, poi si è trasferito a Cuba e quindi è tornato negli States spostandosi più volte fino a trovare una casa più stabile nel sud. Ispirato da cantanti e autori come Townes Van Zandt, Nick Cave e Nina Simone, è un multistrumentista che da giovane ha flirtato con il metal come cantante e chitarrista. Le turbolenze della vita si riflettono anche in campo musicale: metal, folk, americana, scrittura gotica e notturna, roots rock, influenze elettroniche degli anni Ottanta, tutto si mischia in un suono sperimentale che affronta approcci diversi che tendono a sorprendere e spiazzare l’ascoltatore.

Se Sweet Anhedonia poteva essere definito un disco di americana atipico e dark, New Roses aggiunge maggiori sperimentazioni con i sintetizzatori e suoni in loop alternati a bruschi inserimenti della chitarra elettrica e a oasi di fingerpicking. In un disco registrato a Nashville e prodotto dall’autore, Ben suona tutti gli strumenti eccetto il violino affidato all’amico Billy Contreras e la tromba affidata a Josh Klein, con qualche aiuto ai cori di Elizabeth Cook, Emily Scott Robinson e Misty Harlowe. L’apertura è affidata allo spettrale singolo I Must Be Lonely: suono rarefatto, sintetizzatori, voce filtrata tra l’inquieto e il languido, atmosfere anni ottanta. Tutto cambia in The Devil Went Down To Silverlake, una sorta di rilettura del patto con il diavolo di Robert Johnson con un suono cadenzanto, un violino distorto e l’entrata di un’aspra chitarra elettrica. La dolente e oscura ballata Bad Star, scritta in un momento in cui nulla funzionava (e si sente) evidenzia una limpida chitarra acustica, la voce triste e intensa di Ben, il violino e tocchi di synth mentre la successiva Beautiful Day, influenzata da una lettura di William Blake, richiama le cavalcate elettriche di Neil Young con una chitarra heavy.

Ogni brano ha caratteristiche diverse, rendendo l’ascolto interessante, ma allo stesso tempo poco omogeneo. Anche il resto dell’album rispecchia questa caratteristica: dalla dolorosa ballata We Were Young Together Once scritta per la figlia all’aspra Jukebox Heart, dall’avvolgente e teatrale Christina alla pasticciata Stuart Little Killed God cantata in modo sforzato, dall’inquietante cover di Lost Highway che richiama i Black Sabbath (!) fino all’elettroacustica title track, Ben De La Cour sembra cercare un equilibrio difficile da trovare, pur facendo emergere spunti interessenti.



<Credits>