A due anni di distanza da Sweet
Anhedonia, il cantautore Ben de la Cour approda al sesto album
solista con New Roses. La vita di Ben è stata a dir poco avventurosa:
cresciuto a Brooklyn, ha vissuto a Londra, poi si è trasferito a Cuba
e quindi è tornato negli States spostandosi più volte fino a trovare una
casa più stabile nel sud. Ispirato da cantanti e autori come Townes Van
Zandt, Nick Cave e Nina Simone, è un multistrumentista che da giovane
ha flirtato con il metal come cantante e chitarrista. Le turbolenze della
vita si riflettono anche in campo musicale: metal, folk, americana, scrittura
gotica e notturna, roots rock, influenze elettroniche degli anni Ottanta,
tutto si mischia in un suono sperimentale che affronta approcci diversi
che tendono a sorprendere e spiazzare l’ascoltatore.
Se Sweet Anhedonia poteva essere definito un disco di americana
atipico e dark, New Roses aggiunge maggiori sperimentazioni
con i sintetizzatori e suoni in loop alternati a bruschi inserimenti della
chitarra elettrica e a oasi di fingerpicking. In un disco registrato a
Nashville e prodotto dall’autore, Ben suona tutti gli strumenti eccetto
il violino affidato all’amico Billy Contreras e la tromba affidata a Josh
Klein, con qualche aiuto ai cori di Elizabeth Cook, Emily Scott Robinson
e Misty Harlowe. L’apertura è affidata allo spettrale singolo
I Must Be Lonely: suono rarefatto, sintetizzatori, voce filtrata
tra l’inquieto e il languido, atmosfere anni ottanta. Tutto cambia in
The Devil Went Down To Silverlake, una sorta di rilettura del patto
con il diavolo di Robert Johnson con un suono cadenzanto, un violino distorto
e l’entrata di un’aspra chitarra elettrica. La dolente e oscura ballata
Bad Star, scritta in un momento in
cui nulla funzionava (e si sente) evidenzia una limpida chitarra acustica,
la voce triste e intensa di Ben, il violino e tocchi di synth mentre la
successiva Beautiful Day, influenzata da una lettura di William
Blake, richiama le cavalcate elettriche di Neil Young con una chitarra
heavy.
Ogni brano ha caratteristiche diverse, rendendo l’ascolto interessante,
ma allo stesso tempo poco omogeneo. Anche il resto dell’album rispecchia
questa caratteristica: dalla dolorosa ballata We Were Young Together
Once scritta per la figlia all’aspra Jukebox Heart, dall’avvolgente
e teatrale Christina alla pasticciata Stuart Little Killed God
cantata in modo sforzato, dall’inquietante cover di Lost Highway che
richiama i Black Sabbath (!) fino all’elettroacustica title track, Ben
De La Cour sembra cercare un equilibrio difficile da trovare, pur facendo
emergere spunti interessenti.