Gregory Alan Isakov
Evening Machines
[
Dualtone 2018]

gregoryalanisakov.com

File Under: indie folk standards

di Fabio Cerbone
(06/10/2018)

In un certo senso il compendio del perfetto cantautore indie folk, dalla sensibilità moderna e antica al tempo stesso, capace di unire intimità acustica e abbellimenti pop nella scrittura, Gregory Alan Isakov è da diversi anni un nome di punta del movimento, possibile next big thing della scena americana. Il suo nome lo avevamo incrociato qualche stagione addietro: nel 2009 era ancora tempo di novelli Ryan Adams, al quale This Empty Northern Hemisphere faceva riferimento, ma con buone speranze di trovare la propria voce personale. Nel frattempo Isakov ha proseguito sul sentiero di una ostinata autoproduzione, altri due lavori che hanno attirato le attenzioni della stampa (specialmente la collaborazione con la Colorado Symphony Orchestra) e di un pubblico più vasto.

Sono infatti arrivate vendite considerevoli per un artista indipendente, con l'album The Weatherman nel 2013 a totalizzare più di centomila copie. Traguardo importante, con realitivo tour e date sold out, fino alla recente firma per la Dualtone, che per la prima volta distribuirà Evening Machines sul mercato internazionale. Isakov non ha cambiato comunque il suo stile di vita, che è un tutt'uno con la musica prodotta: una fattoria di tre acri da mandare avanti in Colorado, uno studio ricavato in un vecchio fienile e l'ispirazione che arriva dalle piccole rivelazioni del quotidiano, attraverso canzoni contemplative, nate in un periodo tumultuoso dell'artista e dell'uomo, al termine del lungo tour europeo. L'intero album gioca su queste sensazioni, rivolgendosi a ballate in chiaroscuro come la pianistica Berth in apertura (brano sul tema attuale dell'immigrazione, viste anche le origini di Isakov, nato in Sudafrica e poi emigrato negli States con la famiglia), seguita a stretto giro dalla tenerezza per chitarra acustica di San Luis, arricchite da arrangiamenti eterei, tenui pennellate di tastiere e archi che si incontrano con la tradizione di banjo e pedal steel.

Da qui tutta l'attualità del sound impalpabile racchiuso in episodi quali Powder, Was I Just Another One e Too Far Away, le trame ritmiche moderniste di Caves, il debito folkie nei confronti di colleghi come Iron&Wine in Bullett Holes e Chemicals. Dodici tracce in tutto che scaturiscono da un raccolto assai più ricco, quasi cinquanta canzoni, che Isakov ha limato strada facendo, fino a presentarsi negli studi del produttore Tucker Martine a Portland, Oregon e fare poi ritorno a casa con un disco dall'impronta uniforme. Il nome di grido ideale per mettere il cappello sull'intero progetto, senza scacciare tuttavia l'impressione che sia a volte fin troppo compiaciuto di questi suoni d'ambiente, di questo folk del nuovo millennio che si fa sfuggente, languido nel finale di Wings in All Black, un poco indistinto e ripetitivo sulla distanza. È il difetto che si riscontra in buona parte di questa generazione di songwriter, tanto accorati e confessionali quanto racchiusi al sicuro nel loro universo.


    


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