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The Chills
Scatterbrain
[Fire records 2021]

Sulla rete: thechills.band

File Under: jangle pop ambassadors


di Domenico Grio (14/05/2021)

Che fossero tornati per restare, lo si era capito da subito ma che i Chills versione ventunesimo secolo avessero questa voglia e questa prolificità, inusuale persino nel loro periodo aureo, non era affatto prevedibile. La loro idea era quella di provare a recuperare il tempo perduto e in questa missione impossibile, questi diversamente giovani neozelandesi di Dunedin ci stanno evidentemente mettendo grande dedizione e tutto l’ardore di cui dispongono. Scatterbrain è il nuovo album (il terzo dopo la reunion) e, almeno a livello concettuale, non si discosta molto dai precedenti, rimanendo sul sentiero di un pop wave scarsamente propenso ad ammodernamenti espressivi.

E questo incrollabile legame con il loro passato e con le trame che avevano caratterizzato il Dunedin Sound, un jangle pop a basso costo di ispirazione Byrdsiana, è la loro forza ed assieme il loro limite. Da un lato, infatti, non c’è dubbio che la proposta dei Chills sia riconoscibilissima se non persino unica nello scenario attuale, dall’altro è altrettanto evidente che trattasi di qualcosa per il quale probabilmente è spirato ormai il periodo di scadenza, tanto più se si considera che già all’epoca il loro lavoro migliore (Submarine Bells del 1990) era quasi fuori tempo massimo, dato alle stampe quando l’ondata post-punk degli 80s era diventata quasi un rivolo. Al di là dell’opinabile questione stilistica (riteniamo siano in tanti ancor oggi ad apprezzare, giustamente, questo tipo di produzioni musicali), il vero problema di Martin Phillipps, fondatore della band ed unico sopravvissuto della formazione originaria, è più di sostanza che di forma (per quanto, come spesso accade, la forma sia essa stessa sostanza). I brani, mediamente carini e con qualche interessante sviluppo melodico, affidato, come sempre, all’intreccio sonoro delle chitarre e delle tastiere, hanno comunque poco di memorabile, musicalmente incapaci di svolgersi oltre la superficie levigata sulla quale corrono, a volte eccessivamente cauti, a volte pomposi.

A manifestarsi, quale unico tangibile elemento di cambiamento, è invece la volontà di abbandonare in via definitiva l’originario approccio lo-fi e cercare di caratterizzare maggiormente il suono con l’ausilio dell’elettronica. In questo quadro però quello che fondamentalmente manca è un reale pathos, risultando tutto abbastanza tiepido e prevedibile. È pur vero che qualcosa emerge e riesce a spezzare la linearità dell’album. Ci riferiamo a Caught in My Eyes, buona prova d’autore, all’evocativa You’re Immortal e, per altri versi, a Destiny e a Monolith, primi singoli dell’album che rappresentano le due preminenti anime dei Chills, rispettivamente quella popular folk e quella wave, unici “classici” che potrebbero trovare spazio in un ipotetico “best of” del gruppo. A ciò, volendo, potremmo aggiungere, quale ulteriore dato positivo, la bella veste grafica e l’apprezzabile lavoro sulle liriche. Sempre pochino, ci pare, per giustificare l’acquisto del disco.


    


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