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Indigo Sparke
Hysteria
[Sacred Bones Records 2022]

Sulla rete: indigosparke.com

File Under: indie folk-pop


di Domenico Grio (13/10/2022)

Dell’album d’esordio di questa cantautrice di origini australiane (Echo, uscito appena un anno fa sempre per Sacred Bones), si era parlato parecchio. Aveva colpito soprattutto la sua ben collaudata linea espressiva di chiara matrice folk, legata ad una visione molto intimista e basilare della musica. Partendo da queste premesse, è chiaro che l’annunciata collaborazione in questo Hysteria di Aaron Dessner, membro fondatore dei The National, aveva acceso tutte le lampadine, facendo prospettare l’uscita di un album in grado di fondere le anime dei due artisti, votate all’essenzialità delle forme ed alla ricerca di un mood sospeso ed aggraziato, in grado di valorizzare la sottile introspezione che alimenta il processo creativo di entrambi.

Purtroppo, come spesso accade, quando le aspettative diventano importanti, il rischio delusione è dietro l’angolo. Ed è così che quello che è un disco tutto sommato buono, finisce per essere archiviato, forse ingenerosamente, alla voce “poteva essere meglio”. In realtà la scaletta iniziale afferma un’idea perfettamente in linea con un progetto di valorizzazione dei talenti di Indigo Sparke e di Aaron. Blue, pezzo d’apertura del disco che, per quanto banale, non può non far venire in mente Joni Mitchell, è il biglietto da visita che speravamo di vederci consegnare. Tessuto sonoro austero, arrangiamenti minimali, raddoppio della voce a rendere l’atmosfera più eterea, insomma l’armamentario completo del miglior indie folk di ultima generazione. Il successivo brano omonimo, viaggia ugualmente su livelli d’eccellenza, qui i richiami alla citata madrina canadese si fanno davvero pregnanti ed il lavoro di produzione emerge con discrezione grazie all’intuizione di intrecciare la ritmica affidata alla chitarra acustica, a delle trame in stile Lanois. Pressure in My Chest gode sempre di una musicalità fluida, accentuata dall’eleganza di suoni liquidi che permeano i brevi assolo e che sembrano riproporre lo stesso effetto scenico rinvenibile, ad esempio, in un album come Disintegration dei Cure.

A fronte di questo avvio scoppiettante, il disco prosegue via via perdendo colpi. Non cambiano gli schemi ma muta l’impatto emozionale. Qualche sviluppo jazzy (Pluto), qualche ulteriore interessante intuizione (Why Do You Lie? e Time Gets Eaten), un finale pop con le giuste coordinate (Burn) ma, in generale, tra divagazioni, opinabili tentativi di aprire la scena e canzoni non troppo solide sotto il profilo melodico, il risultato si perde per strada. A non cambiare però è soprattutto la voce di Indigo che, forse a causa della staticità interpretativa, risulta spesso persino monocromatica. Nessun concreto aiuto peraltro le giunge neppure dagli altri musicisti coinvolti. Shahzad Ismaily e Matt Barrick (Walkmen e Muzz) fanno il loro, bene, ma danno la sensazione di aggiungere poco al progetto.

Appurato che Indigo, almeno per il momento, non è Laura Marling, giusto per citare una di quelle brave, non resta che tenersi ben stretto la parte buona di questo Hysteria e aspettare con rinnovata fiducia i prossimi passi.


    


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