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Amos Lee
Transmissions
[Hoagiemouth records 2024]

Sulla rete: amoslee.com

File Under: pop-folk transmissions


di Fabio Cerbone (28/08/2024)

L’eclettismo non sempre è un vantaggio in musica, al netto di tutte le legittime ambizioni di un musicista. Sulla carta è certamente la via maestra per far esplodere l’espressività di un artista, garantendogli originalità e coraggio di cambiare, ma qualche volta l’adagio “less is more” ha un senso, soprattutto se riferito all’ambito della canzone d’autore. L’impressione è che Amos Lee - voce soul di velluto e scrittura musicale che si muove con sensibilità e mestiere tra radici folk e struttura pop rock più moderna - si sia complicato un po’ la vita con il suo ritorno indipendente di Transmissions.

Primo album di materiale originale dal 2022 (Dreamland), al quale hanno fatto seguito un paio di operazioni tributo interlocutorie (gli omaggi al songbook di Chet Baker e Lucinda Williams, ulteriore dimostrazione della versatilità del musicista di Philadelphia), Transmissions è stato registrato nell’arco di una sola settimana nello studio casalingo del batterista Lee Falco, a Marlboro, stato di New York. La quiete della campagna, la ricerca della spontaneità con la band (la stessa che lo accompagna in tour), la partecipazione di musicisti di qualità come Greg Leisz (lap e pedal steel), tutto lasciava presagire un disco più sobrio e concentrato sulla densità del sonwgriting, come paraltro annuncia una meditabonda Built to Fall, dallo scorrere “dylaniano”, in apertura. Invece, strada facendo Transmissions si fa più svagato, provando molte, troppe strade, non tutte centrate, confermando l’idea che Amos Lee, dagli esordi prestigiosi per il marchio Blue Note alla maturità di album quali Mission Bell e Mountains of Sorrow, Rivers of Song, abbia in seguito perso un poco la bussola.

Qui costruisce una prima parte efficace che oscilla fra trame americana e limpidezza folk in Beautiful Day e Carry You On, formando un trittico iniziale promettente, che amplifica il messaggio d’amore universale che Transmissions sembra voler comunicare di fronte a un mondo al collasso, salvo tentare poi un approccio più carico di suoni e ammiccamenti pop che in Hold On Tight, nell’enfatica Madison e in Darkest Places finisce per spostare il peso specifico dell’intero album dall’intimità delle liriche alla ricchezza degli arrangiamenti, non sempre guadagnandoci. Non si tratta di canzoni imperfette, semmai del contrario, di un filo di manierismo sonoro che toglie intensità anche all’interprete, sulla cui delicatezza al canto non vale la pena ripetersi (Keep on Moving, Lucky Ones), ma qui trascinato anche dalla scelta, poco comprensibile, di concentrare nella seconda parte di Trasmissions tutti gli episodi più acustici, fino a farsi impalpabile nel dittico formato da When You Go e Baby Pictures. Quando la stessa Trasmissions saluta con la chiarezza delle chitarre acustiche abbiamo ormai abbandonato da tempo la speranza di un sussulto.


    


<Credits>