Steve Forbert
Rock While I Can Rock: The Geffen Years
Steve Forbert
Rock While I Can Rock: The Geffen Years

(Universal Chronicles 2003)

 

Esemplare la storia di Steve Forbert, paradigma delle traversie affrontate da un'intera generazione di songwriters. Tempi duri per chi in realtà non pensava proprio di accodarsi alla rischiosa moda dei nuovi Dylan. Steve Forbert ci è finito dentro con il primo treno che lo portò da Meridian, profondo Mississippi, nel caos della New York fine anni settanta. I club ribollivano al suono della nuova rivoluzione punk, ma c'era sempre qualcuno pronto ad ascoltare uno sconosciuto folksinger. All'inizio fu una strada dorata, nel breve tragitto da Alive on Arrival (era il 1978) a Jackrabbit Slim tutto girava per il verso giusto, infilando addirittura un singolo vincente, Romeo's Tune. Poi arrivò il riflusso, il freddo degli anni ottanta, le delusioni e i contratti stracciati. Steve Forbert rimane al palo per sei interminabili stagioni e quando ritorna è un uomo temprato e meno disposto a svendere i suoi sogni. Rock While I Can Rock: The Geffen Years racconta proprio quel periodo di mezzo, l'età adulta e gli obiettivi di un songwriter che ritrova se stesso con un nuovo contratto in casa Geffen. Raccogliendo per intero i due dischi pubblicati per l'etichetta, Streets of This Town (1988) e The American In Me (1992), questa ristampa ha il pregio di far luce su una vera e propria rinascita artistica. Due lavori che rappresentano inoltre altrettanti vertici della carriera sfortunata di Forbert, forse a torto sottovalutati rispetto agli esordi. Streets of This Town in particolar modo resta uno dei suoi highlights assoluti, licenziato sotto la produzione accorta di Gary Tallent, che raccolse per strada Steve e i suoi Rough Squirrels portandoli ai Long Branch studios nel New Jersey. Il disco, guarda caso, suona elettrico e romantico, flirtando con le timbriche stradaiole della E-street Band. La copertina originale, ricca di fascino, richiama un paesaggio urbano di periferia, grigio e malinconico, che riflette canzoni più riflessive e amare del solito. Le chitarre di Clay Barnes tracciano le coordinate di un rock'n'roll da backstreets, le ballate (Running on Love, I Blinked Once, Hope, Faith and Love) si fanno dure, mentre Mexico e On The Streets of This Town acquistano sapori country da border town. Don't Tell Me (I Know), As We Live and Breathe e Wait a Little Longer (con la seconda chitarra di Nils Lofgren) assolvono il compito di un rock urbano crudo e melodico al tempo stesso, specchio della voce di Forbert, rauca, strozzata eppure capace di infondere dolcezza. Il talkin' blues di The Only Normal People, unico inedito della raccolta (uscì come b-sides del singolo Running on Love) funziona da spartiacque ed introduce al seguente The American in Me. Naturale prosecuzione della sua maturità artistica, il disco offre tuttavia un'immagine più spavalda e umorale dell'autore, complice la produzione del quotato Pete Anderson (Dwight Yoakam), che pare accentuare le pieghe più folkie di Forbert. La partenza è in ogni caso un ponte con il recente passato: Born Too Late macina rock'n'roll affilato, che ritorna poi prepotente in Responsability. Il nuovo corso però predilige le tonalità più tradizionali di Rock While ICan Rock e Change in The Weather, bilanciando con numerose pause acustiche (If You''re Waiting on Me e When the Sun Shines tra le cose migliori) un lavoro che nel tempo sembra avere conservato meno fascino rispetto a Streets of This Town, anche se fondamentale per comprendere le successive scelte artistiche di questo beautiful loser.
(Fabio Cerbone)