Il settimo episodio della serie battezzata
Lu’s Jukebox – incisioni dal vivo in studio con la
propria band che ripercorrono materiale di mostri sacri del
rock, del country e della soul music – porta la musa sudista
dell’Americana, Lucinda Williams, a stretto contatto
con il canzoniere per eccellenza della cultura pop moderna,
quello dei Beatles. Un binomio in apparenza contrastante,
fra un’artista immersa nella tradizione roots&blues più sanguigna
degli Stati Uniti e il santuario inviolabile della composizione
pop rock di stampo inglese.
Se le precedenti sei pubblicazioni – nate, ricordiamolo, in
tempi di pandemia e penuria di tour, facendo di necessità
virtù e giocando molto con le proprie fonti di ispirazione
– provenivano tutte in qualche modo da un mondo affine al
gesto rock’n’roll di Lucinda, che fossero Tom Petty e Bob
Dylan, rispettivamente il
primo e il terzo della serie, le diramazioni del country
e del southern soul
più classico degli anni Sessanta, oppure i Rolling Stones
del precedente sesto volume You
Are Cordially Invited... , cugini inglesi sì, ma in fondo
più americani degli americani stessi, questa incursione a
Londra della Williams, peraltro incisa direttamente negli
storici Abbey Road studios, è tutt’altra faccenda, ricca di
insidie fin dalla concezione.
A dispetto delle premesse, Lucinda Williams Sings The
Beatles From Abbey Road porta a casa una dignitosa
sufficienza, con l’avvertenza quasi scontata che nulla di
ciò che qui e negli episodi precedenti è stato raccolto avrà
mai un’impronta irrinunciabile, piuttosto un diversivo curioso,
quando va bene, per arricchire la collezione dei soli estimatori
dell’artista della Louisiana. Eppure, in confronto addirittura
ai zoppicanti tentativi di domare i citati songbook di Petty
e Dylan (francamente non proprio delle rivelazioni, per usare
un eufemismo), queste dodici cover sparse fra singoli intoccabili
e chicche più ragionate della produzione dei Beatles riescono
a non uscire con le ossa rotte: quando Lucinda Williams, in
buona forma vocale nonostante tutte le non secondarie sofferenze
di questi anni, si muove su terreni rock blues a lei più congeniali
è infatti un piacere sentirla cavalcare la tigre con al traino
la robustezza elettrica del suo quintetto (con Butch Norton
alla batteria e David Sutton al basso, e dove svettano i contributi
solisti delle chitarre di Doug Pettibone e Marc Ford, nonché
dell’organo Hammond di Richard Causon); e quando invece prova
a sfidare “l’insfidabile” è tutto sommato accettabile qualche
inciampo e persino un approccio naif e scombinato.
Nella prima categoria rientra l’interpretazione tutta languori
della lennoniana Don’t Let me Down, diremmo quasi scintillante
nel caracollare folk rock offerto da Lucinda e band al seguito,
così come è facile prevedere il buon risultato portato a casa
in While My Guitar Gently Weeps e Yer Blues,
cadenzate secondo la “pigrizia” southern tipica della nostra
protagonista, che va a nozze anche nell’innalzare il soul
singing di I’ve Got a Feeling o nel trascinare i musicisti
nella schiettezza rock’n’roll del ben noto inno di With
a Little Help From My Friend, sostenuto anche da un raddoppio
vocale che offre potenza gospel al brano.
Detto infine di una brillante versione del classico “minore”
Rain, dove il lucicchio delle chitarre può emergere
in tutta la sua semplice efficacia, e così altrettanto di
una dolciastra I’m Looking Through You (anche se facciamo
fatica a scordarci di quella freschissima edizione in chiave
country che ne diede Steve Earle nel suo capolavoro Train
a Comin'), è inevitabile che ricadano invece dal lato
più improbabile della faccenda le intepretazioni di Let
It Be, Something e The Long and Winding Road,
tutte sorrette da un asciutto arrangiamento della band, ma
abbastanza trascurabili nel gesto offerto dalla stessa Lucinda
Williams, che anche nella svogliata I’m So Tired (di
nome e di fatto) o nel garage rock al rallentatore di Can’t
Buy Me Love non pare metterci abbastanza personalità per
offrire qualcosa di veramente appetibile.
E d’altronde il senso di tutta l’operazione di Lucinda
Williams Sings The Beatles From Abbey Road dovrebbe ridursi
proprio a questo, con la stranezza ma anche lo stimolo di
sentire un’artista in apparenza così distante dal mondo dei
quattro di Liverpool alle prese con una sua rilettura privata
e insolita. Lucinda Williams ci riesce in parte, mettendoci
la sua proverbiale animosità, anche grazie al suono cucito
insieme dal produttore Ray Kennedy e dal gruppo negli studi
di Abbey Road, sebbene nessuno di questi dodici omaggi abbia
l’ardire di spostare di un solo millimetro l’impianto melodico
originale dei Beatles. E d’altronde come sarebbe mai potuto
accadere?
La scaletta
1. Don't Let Me Down // 2. I'm Looking Through You // 3. Can't
Buy Me Love // 4. Rain // 5. While My Guitar Gently Weeps
// 6. Let It Be 7 Yer Blues // 8. I've Got a Feeling // 9.
I'm So Tired // 10. Something // 11. With a Little Help from
My Friends // 12. The Long And Winding Road