Fra le tante
songwriter d’oltre oceano che seguo da diversi anni grazie
a RootsHighway, Carter Sampson è fra quelle che considero
fra le più interessanti. Certamente ha influito la possibilità,
quasi due lustri fa, di intervistarla
in occasione di un suo concerto ad Amsterdam. In quell’occasione
ebbi modo di conoscerla meglio e ricordo che rimasi colpito
soprattutto dai suoi racconti della vita on the road, e del
fatto di aver deciso di vivere in una roulotte. Il fatto di
sentirsi molto attaccata alla sua terra - tanto da guadagnarsi
il nickname di Queen of Oklahoma (dal titolo di un
suo vecchio brano) - e nel contempo di avere una vita da “nomade”,
la portava ad alternare momenti di profonda nostalgia ad altri
in cui si riteneva fortunata di poter vivere nella dimensione
più consona alla propria personalità.
Dopo tato girovagare fra States ed Europa, era forse anche
logico che prima o poi Carter decidesse di permettere ai suoi
fan, e a chi non ha mai avuto modo di ascoltarla dal vivo,
di ripercorrere il meglio del suo repertorio in una veste
totalmente stripped. Live At Blue Door è la
registrazione integrale di un suo concerto tenuto in solitaria,
accompagnata dalla propria chitarra, in uno dei locali di
Oklahoma City ai quali si sente particolarmente legata, come
spiega simpaticamente lei stessa al microfono dopo aver cantato
il primo brano, raccontando tra l’altro un divertente aneddoto
del passato. La set list riprende brani da tutta la sua carriera
artistica e i primi quattro episodi sono tutti pescati da
Gold
(suo ultimo disco in studio, del 2023). Fra questi quello
che preferisco è There’s Always Next Year perché in
qualche modo sintetizza perfettamente il mood dolceamaro che
attraversa molti testi della Sampson, basati sul contrasto
fra le difficoltà della vita e la certezza che dentro di noi
c’è la forza per superarle.
Altro disco particolarmente “saccheggiato” risulta Lucky,
del 2018, dal quale fra le altre propone Hello Darlin’
- cover semisconosciuta di Zac Copeland, che incanta per la
sua dolcezza e i suoi versi particolarmente romantici - e
la più ritmata Peaches dedicata ai suoi nonni dai quali
era solita passare le vacanze da bambina, vivendo spensierata
e soprattutto, come di solito capita a molti nipoti, senza
alcuna regola. Fortunatamente c’è spazio anche per un paio
di episodi da Wilder
Side (disco che amo particolarmente), come la bellissima
title track, che chiude il concerto e See the Devil Run
che, sempre durante l’intervista sopra citata, mi raccontò
di aver scritto dopo aver visitato una chiesa animata da un
coro gospel particolarmente gioioso, in netto contrasto con
i cori un po’ monocordi delle vecchiette ai quali era abituata.
Non mi
rimane che chiudere augurando ai nostri lettori di avere la
fortuna di assistere; almeno una volta nella vita, a un concerto
di Carter Samson per poter godere di emozioni senza soluzione
di continuità.