Mary Gauthier
Live at Blue Rock
[Proper 2012]

www.marygauthier.com


File Under: doom folk


di Gianfranco Callieri (30/10/2012)

Ecco un album sul quale non avrei scommesso un fico (da imbecille, non c'è dubbio, perché non bisogna mai attrezzarsi contro le sorprese). Non posso invece che ringraziare il nostro direttore per avermelo suggerito, nonché, ça va sans dire, passato: se non si tratta di una delle cose migliori dell'anno in corso, allora significa stiamo vivendo una stagione di capolavori della quale, purtroppo, non mi sono accorto. Benché innamoratissimo del country-rock cupo, terragno, pessimista e tremendamente ruvido di Mary Gauthier, orfana della Louisiana affacciatasi sul mondo della musica all'età non proprio tenera di 35 anni (dopo una gioventù di fughe, tossicodipendenza e alcolismo) e da allora riconosciuta come una delle poche, credibili eredi della secchezza folkie di Townes Van Zandt e del rockeggiante contegno southwesterner di Lucinda Williams, ero altresì convinto che le peculiarità del suo sound - un affresco di blues per cuori spezzati, country per anime lacerate e folk irrequieto per tutti gli invisibili, dipinto con i colori secchi e riarsi delle pianure texane e i profumi della vegetazione lussureggiante e malinconica di New Orleans - fossero soprattutto, se non in via esclusiva, ascrivibili alle intuizioni dei produttori. Ovvero Gurf Morlix, supervisore di Filth & Fire (2002) e Mercy Now ('05), Joe Henry, al lavoro sull'elegantissimo e doloroso Between Daylight And Dark ('07), e Michael Timmins, fondatore dei Cowboy Junkies e corresponsabile delle (apparenti) delicatezze acustiche di The Foundling ('10).

Senza l'ingegno di costoro, naturalmente assenti da un live autoprodotto e affrontato con manifesta parsimonia strumentale, temevo le canzoni della Gauthier potessero rivelarsi, come quelle di tante altre colleghe, nient'altro che diligenti bozzetti di verismo rootsy privi di quell'intensità di sfumature che li avevano resi da subito indispensabili. Be', mi sbagliavo di grosso. Live At Blue Rock, registrato al Blue Rock Artist Ranch di Wimberley, Texas (non lontano da Austin), e poi rifinito da Patrick Granada e Ray Kennedy in quel di Nashville, non solo regge senza problemi il confronto con la forza espressiva delle prove in studio: ne trasporta i brani in un'altra dimensione, in certi casi ancor più accorata e visionaria del solito, e lo fa ora ricorrendo a un'ulteriore scarnificazione dei suoni, ora sottolineandone il carattere amaro e inquieto, ma sempre senza perdere un solo grammo d'efficacia. A condurre le danze ci sono soltanto la voce e la chitarra della titolare, le percussioni striscianti di Mike Meadows e il violino a un tempo distorto ed elegiaco di Tania Elizabeth (un fenomeno), e davvero non c'è bisogno d'altro per trasformare la cinematica Drag Queens In Limousines in un toccante, vivace omaggio a Bob Wills, l'ipnotica confessione di I Drink in una malinconica ballata folk o il racconto dell'adozione tormentata di Blood Is Blood in uno squarcio epico tra Flannery O'Connor e scrittura punk.

In due veri e propri capolavori come Your Sister Cried e Cigarette Machine (entrambe composte dal grande Fred Eaglesmith), con la voce di Gauthier a declamare strofe di nudo, brutale abbandono e lo strumento della Elizabeth che sfonda le viscere vibrando, accarezzando, alzandosi di scatto e riabbassandosi di colpo in una specie di mantra classicheggiante (per deragliare in esplosioni di furia durante le quali l'archetto sembra voler soltanto fare a pezzi le corde), il suono di Live At Blue Rock lascia addosso, in conseguenza di un'ubriacatura di vita, la stessa sensazione di sfinimento e tristezza dei "Bedding" dell'artista spagnolo Luis Serrano, quadri di una serie di letti disfatti incorniciati da stanze dove non c'è nient'altro. La tecnica di Gauthier e di Serrano è la medesima: lasciare intuire il caos, il brulicare dei sentimenti, la nostalgia inguaribile delle cose perdute, dalle loro gloriose macerie. Vorrei dirvi altro, vorrei dirvi dell'incedere dolente della stupenda Last Of The Hobo Kings, del vecchio che ripensa al treno su cui è partito suo figlio senza più fare ritorno in The Rocket, del conclusivo tour de force tra energia blue-collar e rapimento cameristico di Wheel Inside The Wheel o della raccolta Mercy Now che, nascosta da qualche secondo di silenzio, la segue. Ma lo spazio è tiranno. Una parola su tutte per descrivere Live At Blue Rock? Ce l'ho: devastante.


   


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