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Linda Thompson
Proxy Music
[StorySound records 2024]

Sulla rete: lindathompsonmusic.com

File Under: Inside jokes


di Gianfranco Callieri (18/07/2024)

A Linda Thompson, londinese di Hackney, non ha mai fatto difetto l’ironia. Persino quando seguì l’allora consorte Richard Thompson in due diverse comuni islamiche, verso la metà degli anni ’70, fu abbastanza spiritosa da ammettere come l’esperienza avesse soprattutto riguardato «un manipolo di bianchi, borghesi e benestanti animati da un viscerale desiderio di autopunirsi». Parliamo di fatti accaduti ormai mezzo secolo fa, e facendo qualche conto, sono trascorsi 42 anni dall’ultimo disco - Shoot Out The Lights (1983), una delle opere più brucianti di sempre sui temi del disagio, della separazione, del deragliamento psichico - realizzato dai Thompson quand’erano ancora una coppia, 39 dal primo e a lungo unico album solista di Linda, 22 dal suo allora inaspettato ritorno in sala d’incisione e 11 "appena" dal suo ultimo lavoro in studio.

Nel frattempo, però, Linda si è trovata nella condizione di non poter più cantare, perché la disfonia idiopatica diagnosticatale decenni or sono - un disturbo neurologico per cui i muscoli della laringe arrivano a compiere movimenti involontari e parossistici - le ha progressivamente sottratto il controllo sulle note e sulla loro emissione. La contromisura adottata da Linda è stata, quindi, quella di reclutare, tra amici, familiari e colleghi, undici diversi cantanti (maschile sovraesteso) pronti a fare le sue veci in un disco non a caso intitolato Proxy Music, cioè "musica per procura", e introdotto da una copertina in cui Linda, oltre a citare per filo e per segno la grafica dell’omonimo esordio a 33 giri dei Roxy Music di Bryan Ferry e Phil Manzanera, si è fatta immortalare, all’età di 76 anni, truccata e vestita come la modella norvegese Kari-Ann Moller - oggi insegnante di yoga nonché moglie di Chris Jagger - sulla confezione gatefold di quel vinile targato 1972.

E se è certo che l’ironia, in un modo o nell’altro, salvi la vita, soprattutto nei suoi momenti più difficili, contemplare il sorriso smagliante e scherzoso di Linda sulla copertina di Proxy Music, talmente smagliante da far supporre possa restare sospeso in aria, fluttuante, anche quando il disco in questione venga riposto e archiviato (proprio come accadrebbe al gatto del Chesire dei libri di Lewis Carroll o al felino del paradosso di Schrödinger), costituisce un piacere altrettanto impagabile. Meno agevole, invece, è l’addentrarsi tra le pieghe dell’opera, di per sé né brutta né malriuscita (ci mancherebbe), ma in qualche misura sin troppo somigliante a un tribute-album dedicato a Linda in assenza di classici, ossia con canzoni affini al canone aristocratico del suo folk-rock sebbene non ancora abbastanza stagionate per imprimersi nella memoria.

Certo, l’esuberanza scozzese e folkie dell’iniziale The Solitary Traveler, cantata dalla figlia Kami, andrebbe ascritta alla manualistica del genere, ma ci si chiede anche se quest’ode alla solitudine della strada sia reale oppure, essendosi Linda risposata subito dopo il divorzio da Richard e durando, il suo secondo matrimonio, appunto da 42 anni, sia un semplice frutto del mestiere. Nella ballata pianistica Or Nothing At All, Martha Wainwright si sforza più di sembrare la zia acquisita (in realtà le due non sono parenti, ma Linda è sempre stata amicissima di sua madre, la canadese Kate McGarrigle) che di essere se stessa, mentre il fratello Rufus non riesce a scostarsi dai propri clichés in una Darling This Will Never Do ispirata dalla differenza di età tra Cher e l’attuale fidanzato di costei (!) e giocata sulle sfumature jazzy di un cabaret dell’America anni ’30.

Malgrado le eccezioni di una sentita Bonnie Lass, malinconico traditional rivisitato in punta di chitarra grazie alle voci impeccabili dei Proclaimers, e di un lamento sui malesseri dell’invecchiare interpretato dalla britannica Ren Harvieu (I Used To Be So Pretty, con un bravissimo Richard Thompson alla sei corde), lo schema di Proxy Music resta più o meno sempre lo stesso, tanto divertito (e a tratti divertente) quanto autocitazionista e autoreferenziale. Qualcuno troverà spassosa, o addirittura toccante, l’idea di avere John Grant alle prese con un folk elettrico e modernista recante il titolo di John Grant e riguardante la sessualità dell’autore, in particolare la relazione irrisolta con la defunta madre mai riuscita a digerire fino in fondo il fatto di avere un figlio gay. Ma qui, come nell’ultima Those Damn Roches, dove Teddy Thompson ripassa in pratica tutta la genealogia di famiglia, passando in rassegna le statunitensi Roches, le McGarrigle, i Wainwright, Norma Waterson, Martin Carthy e gli stessi Thompson, sembra di origliare dal buco della serratura un simposio tra amici, forse interessante e significativo per loro ancorché non esattamente irresistibile per tutti gli altri.

Poi, nell’epoca della frammentazione dei contenuti, da Proxy Music uno o più canzoni da inserire in una playlist spunteranno anche, magari promosse a pieni voti da critici ai quali individuare riferimenti, parentele e ricorrenze fa sentire, di solito, molto intelligenti. Chi scrive, invece, continua a rimpiangere i tempi in cui ogni nuovo disco, persino il più "sbagliato" e irrisolto, tentava comunque l’esplorazione di un mondo alternativo, sconosciuto o possibile: in Proxy Music, al contrario, i mondi invisibili sono rimasti ai margini di una riunione di condominio tra consanguinei e conoscenti. Tutto legittimo, è ovvio, ma anche tutto mortalmente noioso nonostante il dispendio di umorismo e spiritosaggini.

La scaletta, i protagonisti

1. The Solitary Traveller - Kami Thompson
2. Or Nothing At All - Martha Wainwright
3. Bonnie Lass - The Proclaimers
4. Darling This Will Never Do - Rufus Wainwright
5. I Used To Be So Pretty - Ren Harvieu
6. John Grant - John Grant
7. Mudlark - The Rails
8. Shores of America - Dori Freeman
9. That's the Way the Polka Goes - Eliza Carthy
10. Three Shaky Ships - The Unthanks
11. Those Damn Roches - Teddy Thompson


 


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