Quando nel 1967 uscì The Velvet Underground & Nico,
non c’era niente, ma proprio niente, che potesse avvicinarsi o che fosse
anche minimamente paragonabile a quello che il quartetto di New York suonava.
Atmosfere cupe, testi torbidi, suoni stridenti. I Velvet Underground
erano la distillazione in musica della Grande Mela, dei bassifondi, dello
squallore quotidiano, delle torbide pulsioni ma anche della grande avanguardia
artistica che si respirava, unica e diversa rispetto all’atmosfera che
aleggiava in altre città americane come San Francisco o Los Angeles. I
VU ballavano sul filo del rasoio, finendo per dissolversi malamente in
un lasso di tempo brevissimo. Lou Reed ne raccolse il testimone e, sui
frammenti del suo ex gruppo, costruì una carriera che avrà sempre gli
stessi tratti del percorso artistico dei VU ma accentuandone persino gli
eccessi. Ma questa è un’altra storia.
C’era bisogno quindi di fare un tributo a un disco (più che a una band)
di così seminale importanza? Forse sì, considerando che la maggior parte
degli artisti che ha contribuito a questa raccolta uscita per l’etichetta
originale dei Velvet Underground, la Verve, fa questo lavoro proprio grazie
al disco con la banana disegnata da Andy Warhol. Forse no, perché i VU
erano sgangherati, estremi, ruvidi, e proprio questa era l’essenza stessa
del gruppo, una miscela che non si ripeterà mai più dopo di loro. E allora
qualche versione annacquata o imbellettata di grandi brani epocali, non
è il modo migliore per celebrare il loro disco più famoso. Certo non parliamo
di Michael Stipe, che già aveva riproposto tre brani durante i
primi anni di carriera dei REM. La sua voce, accompagnata da Bill Frisell
alla chitarra, ha una carica evocativa formidabile, e la sua versione
di Sunday Morning è quella di un grande artista che ha interiorizzato
i Velvet Underground, non solo di uno che li copia. Anche Thurston
Moore che, come Lou Reed, sintetizza lo spirito avanguardista di NY,
assieme a Bobby Gillespie dei Primal Scream, fa una versione moderna di
Heroin di grande impatto.
Ma ci sono versioni che non convincono, come I’m Waiting For The Man
di Matt Berninger (The National), una brutta copia dell’originale, e anche
Femme Fatale, di Sharon Van Etten, che non sposta di un centimetro
l’asticella che Nico aveva posto ben in alto con l'originale cantata con
quella sua voce funerea e androgina. Non convince neppure lo space-pop
di All Tomorrow’s Parties eseguita da St. Vincent e Thomas Bartlett
che sembra uscita da 2001: Odissea nello Spazio con il supercomputer HAL
al microfono. Fortunatamente Kurt Vile con Run Run Run e Courtney
Barnett con I’ll Be Your Mirror riportano tutto in carreggiata
e ritrovano la ruvidezza e la spontaneità dei VU. Menzione d’onore ovviamente
per Iggy Pop che, insieme a Matt Sweeney, rifà European Son,
lunga cavalcata rock in cui il cantante e amico di Lou Reed si trova a
proprio agio, come si dice, sguazzando nel torbido.
Sicuramente I Velvet Underground avrebbero meritato più fama durante la
loro breve carriera. Certo è che la loro eredità è ormai tentacolare e
sterminata, come la mappa stradale di una metropoli moderna: si va da
Detroit all’Australia, da Athens all’Irlanda, seguendo il filo che lega
tutti gli artisti che hanno partecipato a questo tributo. Purtroppo è
anche facile perdersi in questo stradario musicale, se non si hanno gli
strumenti adatti alla navigazione. Come è successo evidentemente a molti
artisti che vi hanno partecipato.
La tracklist:
1. Sunday Morning – Michael Stipe
2. I’m Waiting For The Man – Matt Berninger
3. Femme Fatale – Sharon Van Etten (w/ Angel Olsen)
4. Venus In Furs – Andrew Bird & Lucius
5. Run Run Run – Kurt Vile
6. All Tomorrow’s Parties – St. Vincent & Thomas Bartlett
7. Heroin – Thurston Moore feat. Bobby Gillespie
8. There She Goes Again – King Princess
9. I’ll Be Your Mirror – Courtney Barnett
10. The Black Angel’s Death Song – Fontaines D.C.
11. European Son – Iggy Pop & Matt Sweeney