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rust never sleeps di
Fabio Cerbone (10/01/2013)
Cronaca
fedele e serrata dell'ultimo tour europeo al seguito di Travels
in the Dustland, album che ha prepotentemente rilanciato le azioni
della band di Seattle, Berlin sceglie la soluzione più semplice
e complicata al tempo stesso: nessun intento antologico, magari attraverso una
selezione di esibizioni ad hoc, ma un intero show gettato su nastro, tenutosi
il 14 luglio scorso al C-Club di Berlino, peraltro pochi giorni prima delle date
estive italiane, le stesse che ce li hanno fatti apprezzare dopo una lunga assenza
dai palchi nazionali. L'Europa e più in particolare la Germania restano dunque
una sorta di seconda patria, una terra d'adozione per i Walkabouts (dove
hanno sempre venduto un discreto numero di copie). Da quelle parti risiede la
Glitterhouse, etichetta che dal principio ha creduto nelle trame desertiche e
notturne del loro sontuoso folk rock, in quelle cavalcate elettriche che parlano
dai luoghi oscuri del sogno americano attraverso le voci di Chris Eckman e Carla
Torgerson. Non poteva essere altrimenti, giocando in casa, tra un pubblico che
ha spesso dimostrato più attenzioni e affetto di quello americano, per troppo
tempo impermeabile alla straordinaria qualità di una carriera discografica che
ha pochi eguali nel mondo rock indipendente.
Venticinque anni sulla strada
o quasi, dagli esordi convulsi e figli del post punk alle traversate misteriose
nelle lande della ballata folk più nera e affascinante, il percorso artistico
dei Walkabouts non conosce riposo: tra alti e bassi, ma mai sotto il livello di
guardia, con cambi coraggiosi e scarti artistici non indifferenti, sono ancora
una band vitale e stimolante, pur lavorando sulla stessa materia da così tanto
tempo. Berlin è la classica testimonianza di un cammino, una celebrazione certo,
ma per nulla pomposa, che costruendo la sua ossatura sulla tenacia del materiale
più recente (il citato Travels in the Dustland, album di una clamorosa rinascita)
tocca le diverse evoluzioni del songbook dei Walkabouts, marcando indiscutibilmente
alcune tappe fondamentali. Innegabile infatti, scorrendo la scaletta, che ancora
oggi Eckman e soci considerino New West Motel e Devil's Road, prima metà degli
anni 90, come punti focali della loro maturazione sonora, lavori in cui il linguaggio
neo-tradizionalista della band, declinato verso l'eleganza della notte e il mistero
urbano, ha preso la forma più compiuta. Da quel gorgo di walzer neri arrivano
dunque il pulsare soul del basso di The Light Will Stay
On, il manto sintetico di archi (le tastiere di Glenn Slater) di Rebecca
Wild e la furia e i riverberi di Jack Candy,
storie fosche letteralmente narrate dal portamento della voce di Carla Torgerson.
È lei, con uno spettro tanto limitato quanto affascinante, a caratterizzare il
volto più sensuale e bluastro dei Walkabouts, intrecciandosi alla perfezione con
il compagno di sempre Chris Eckman.
Quest'ultimo tiene la rotta
del gruppo sull'orlo di un precipizio, sfoderando il sound chitarristico e carico
di feedback che spesso e volentieri travolge il repertorio live, rispetto alle
versioni più controllate di studio: con l'aggiunta della chitarra spartana, quasi
un sottofondo, dell'ultimo arrivato Paul Austin (già nei Willard Grant Conspiracy),
il muro di suono dei Walkabouts prende forma nel maelstrom elettrico di Grand
Theft Auto, finale epico che deborda in dodici minuti di sfuriate,
compresa la citazione della springsteeniana State Tropper, nel rock affilato dalle
tinte punk di Long Drive in a Slow Machine
e Acetylene (recupero sacrosanto da uno dei
dischi più duri e sottovalutati della loro produzione), e ancora nella spasmodica,
trascinante The Stopping-off Place. Alla struggente
melodia per piano e chitarre di Bordertown
(da Setting the Woods on Fire, uno dei dischi tematicamente più "roots" della
loro discografia), alla tensione rallentata di Every River Will Burn, così
come alla recente epopea di The Dustlands
sono affidati infine i tratti più evocativi della loro musica.
Accordi
insistentemente minori e atmosfere dense ritornano come mantra nello sviluppo
delle canzoni: più realista del re, Chris Eckman sembra confermare il grande debito
nei confronti della lezione di Neil Young, senza alcuna soggezione sia detto,
anche per la storia altrettanto solida che i Walkabouts possono vantare alle loro
spalle. Come la musica del loner canadese tuttavia, l'intreccio fra voci, chitarre,
rifrazioni d'archi e tastiere, il sound romantico e desertico che ne scaturisce,
vive su un crescendo di essenziali dinamiche, eppure di grande effetto ambientale.
Segreti spesso appartenuti soltanto ai fuoriclasse.