The Walkabouts
Berlin
[Glitterhouse 2012]

www.glitterhouse.com


File Under: rust never sleeps


di Fabio Cerbone (10/01/2013)

Cronaca fedele e serrata dell'ultimo tour europeo al seguito di Travels in the Dustland, album che ha prepotentemente rilanciato le azioni della band di Seattle, Berlin sceglie la soluzione più semplice e complicata al tempo stesso: nessun intento antologico, magari attraverso una selezione di esibizioni ad hoc, ma un intero show gettato su nastro, tenutosi il 14 luglio scorso al C-Club di Berlino, peraltro pochi giorni prima delle date estive italiane, le stesse che ce li hanno fatti apprezzare dopo una lunga assenza dai palchi nazionali. L'Europa e più in particolare la Germania restano dunque una sorta di seconda patria, una terra d'adozione per i Walkabouts (dove hanno sempre venduto un discreto numero di copie). Da quelle parti risiede la Glitterhouse, etichetta che dal principio ha creduto nelle trame desertiche e notturne del loro sontuoso folk rock, in quelle cavalcate elettriche che parlano dai luoghi oscuri del sogno americano attraverso le voci di Chris Eckman e Carla Torgerson. Non poteva essere altrimenti, giocando in casa, tra un pubblico che ha spesso dimostrato più attenzioni e affetto di quello americano, per troppo tempo impermeabile alla straordinaria qualità di una carriera discografica che ha pochi eguali nel mondo rock indipendente.

Venticinque anni sulla strada o quasi, dagli esordi convulsi e figli del post punk alle traversate misteriose nelle lande della ballata folk più nera e affascinante, il percorso artistico dei Walkabouts non conosce riposo: tra alti e bassi, ma mai sotto il livello di guardia, con cambi coraggiosi e scarti artistici non indifferenti, sono ancora una band vitale e stimolante, pur lavorando sulla stessa materia da così tanto tempo. Berlin è la classica testimonianza di un cammino, una celebrazione certo, ma per nulla pomposa, che costruendo la sua ossatura sulla tenacia del materiale più recente (il citato Travels in the Dustland, album di una clamorosa rinascita) tocca le diverse evoluzioni del songbook dei Walkabouts, marcando indiscutibilmente alcune tappe fondamentali. Innegabile infatti, scorrendo la scaletta, che ancora oggi Eckman e soci considerino New West Motel e Devil's Road, prima metà degli anni 90, come punti focali della loro maturazione sonora, lavori in cui il linguaggio neo-tradizionalista della band, declinato verso l'eleganza della notte e il mistero urbano, ha preso la forma più compiuta. Da quel gorgo di walzer neri arrivano dunque il pulsare soul del basso di The Light Will Stay On, il manto sintetico di archi (le tastiere di Glenn Slater) di Rebecca Wild e la furia e i riverberi di Jack Candy, storie fosche letteralmente narrate dal portamento della voce di Carla Torgerson. È lei, con uno spettro tanto limitato quanto affascinante, a caratterizzare il volto più sensuale e bluastro dei Walkabouts, intrecciandosi alla perfezione con il compagno di sempre Chris Eckman.

Quest'ultimo tiene la rotta del gruppo sull'orlo di un precipizio, sfoderando il sound chitarristico e carico di feedback che spesso e volentieri travolge il repertorio live, rispetto alle versioni più controllate di studio: con l'aggiunta della chitarra spartana, quasi un sottofondo, dell'ultimo arrivato Paul Austin (già nei Willard Grant Conspiracy), il muro di suono dei Walkabouts prende forma nel maelstrom elettrico di Grand Theft Auto, finale epico che deborda in dodici minuti di sfuriate, compresa la citazione della springsteeniana State Tropper, nel rock affilato dalle tinte punk di Long Drive in a Slow Machine e Acetylene (recupero sacrosanto da uno dei dischi più duri e sottovalutati della loro produzione), e ancora nella spasmodica, trascinante The Stopping-off Place. Alla struggente melodia per piano e chitarre di Bordertown (da Setting the Woods on Fire, uno dei dischi tematicamente più "roots" della loro discografia), alla tensione rallentata di Every River Will Burn, così come alla recente epopea di The Dustlands sono affidati infine i tratti più evocativi della loro musica.

Accordi insistentemente minori e atmosfere dense ritornano come mantra nello sviluppo delle canzoni: più realista del re, Chris Eckman sembra confermare il grande debito nei confronti della lezione di Neil Young, senza alcuna soggezione sia detto, anche per la storia altrettanto solida che i Walkabouts possono vantare alle loro spalle. Come la musica del loner canadese tuttavia, l'intreccio fra voci, chitarre, rifrazioni d'archi e tastiere, il sound romantico e desertico che ne scaturisce, vive su un crescendo di essenziali dinamiche, eppure di grande effetto ambientale. Segreti spesso appartenuti soltanto ai fuoriclasse.


    


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