The Travelling Wilburys
The Traveling Wilburys Collection
[Rhino 2Cd+DVD  2007]

1/2

Una storia di famiglia. Verso la metà del 1988, mentre sta registrando Cloud Nine (il suo primo album di materiale inedito dai tempi dell'improponibile Gone Troppo del 1982) sotto la supervisione dell'ex-leader degli Electric Light Orchestra Jeff Lynne, George Harrison viene incalzato dalla sua etichetta del periodo - la Warner Bros. - affinché consegni in tempi brevi una b-side da affiancare al singolo This Is Love. Per una fortunata serie di coincidenze, Lynne si trova nello stesso periodo a lavorare sul comeback di Roy Orbison, che uscirà postumo nel 1989 col titolo di Mystery Girl dopo la morte per arresto cardiaco dell'artista, e sul primo album solista di Tom Petty, Full Moon Fever, anch'esso destinato a essere pubblicato, in un trionfo di critica e vendite, soltanto la stagione successiva. Petty è inoltre reduce da un intenso tour effettuato nel 1986 con Bob Dylan, ed è nello studio di quest'ultimo a Santa Monica, Ca. (dove si trova anche Petty poiché vi ha dimenticato una chitarra), che Lynne, Orbison e Harrison si trovano per dare vita a qualche session informale. In poche ore l'improvvisato quintetto scrive, esegue e mixa il pop'n'roll armonioso di Handle With Care, che una volta consegnato alla casa discografica fa rizzare i capelli agli executives. Non dal disappunto, però, dacché in Warner tutti si accorgono del potenziale del brano e iniziano a incrociare le dita nella speranza che l'inedito team-up si convinca a realizzare un intero album. Stimolati dalle reazioni positive dei boss della label, e già convinti per conto proprio in virtù della sconfinata stima reciproca e del divertimento consumato a strimpellare in compagnia, i cinque tornano a rintanarsi nello studio casalingo di Dylan e in una dozzina di giorni si ritrovano con un disco fatto e finito. Manca solo il nome del gruppo. Se non che, in un dato momento della registrazione, riferendosi ad alcune interferenze nel suono, Harrison suggerisce di "nasconderli nel missaggio": We'll bury them, pronuncia "wehl-biu-ry", ed ecco i "Wilburys", inizialmente pensati come "Trembling" e infine trasformatisi in Traveling Wilburys.

The Traveling Wilburys Vol.1 ('88) conquista ascoltatori e giornalisti: per Dylan, Lynne e Orbison è addirittura il primo album in cui compare il loro nome a superare la barriera dei due milioni di copie vendute, e Rolling Stone lo piazza 70° nella classifica nella classifica dei migliori titoli degli anni '80 (anche se Rob Sheffield, riascoltandolo proprio quest'anno per conto della prestigiosa testata, ne ha drasticamente ridimensionato il giudizio complessivo). Molti dicono che Full Moon Fever di Tom Petty, dove appaiono ancora Lynne, Orbison e Harrison, sia a tutti gli effetti il secondo volume della saga dei Wilburys, ma sta di fatto che un Vol.3 ('90) a loro accreditato appare soltanto qualche anno dopo la scomparsa di Roy: rumors dell'epoca vogliono il rocker Del Shannon contattato per un eventuale rimpiazzo, ma è lui stesso, suicidandosi nel 1990, a zittire le voci di corridoio. Il nuovo disco funziona meglio in Europa che negli States, e sebbene i Wilburys continuino di tanto in tanto a riunirsi, il cancro che nel 2001 soffoca anche l'ultimo respiro dell'allora cinquantottenne Harrison mette ufficialmente la parola fine sulla breve storia dell'estemporaneo supergruppo. La ristampa di cui parliamo oggi, approntata dalla sempre solerte Rhino e comprensiva dei due album ufficiali più relative bonus-tracks, memorabilia vari e un dvd con micro-documentario e cinque videoclip del periodo, ha nella sorpresa generale perforato le charts inglesi, americane e australiane alla velocità della luce, totalizzando 500'000 copie vendute in appena tre settimane di permanenza sul mercato: segno che la "fame" di glorie consolidate del passato, in opposizione al fluviale susseguirsi di sensazioni effimere dell'oggi, è sempre tanta, oltre che del fatto che, ora come ora, i principali acquirenti di musica su supporto fisico non sono davvero, come un tempo, gli adolescenti, bensì i quaranta/cinquantenni che l'adolescenza l'hanno salutata trent'anni fa.

Anche perché, favore mercantile e comprensibile effetto nostalgia a parte, riprendendoli in mano nel 2007 viene proprio da chiedersi se i due album dei Traveling Wilburys siano davvero così rappresentativi della miglior ispirazione dei loro autori. Intendiamoci. Il primo volume è ancora un disco assai godibile. Nato quasi per caso, forse, senz'altro affrontato con un pizzico di simpatica trascuratezza ("sittin' on the sofa, workin' on some songs" dice Orbison nel dvd), eppure foriero d'intrattenimento di prima classe. Con un Harrison, inoltre, che non ha mai cantato così bene (e che tutt'oggi suona quale motore principale del progetto), quell'adorabile nazistello di Roy Orbison ancora capace di infondere un senso del melodramma quasi trascendente in canzoncine costruite su due accordi in croce, un Dylan mai così rilassato e un Petty magari non proprio a suo agio in mezzo a tanti maestri. Che i quattro si stiano divertendo un mondo è chiaro fin dalla scelta d'inventarsi un'apposita mitologia di un'altrettanto fittizia famiglia Wilbury alla quale tutti, esibendo false credenziali d'identità, dichiarano di appartenere. L'impronta dei brani, poi, è immediatamente riconoscibile, e come tante caramelle retro-pop sembrano confezionate apposta per la ritrovata forma di Harrison, così le soffici cadenze demodè della ballatona Not Alone Any More (bellissima) paiono cucite su misura per adagiarvi l'ancora strepitoso baritono operistico di Orbison. Allo stesso modo, il timbro nasale di Petty risulta naturalmente a proprio agio sul twangy-sound byrdsiano di End Of The Line, e Dylan ha buon gioco nello scrivere con la mano sinistra il chorus ruspante di Congratulations e il rock americano di taglio classico d'una Tweeter & The Monkey Man che sbeffeggia con affetto l'immaginario springsteeniano e, pur assomigliando un po' troppo alla vecchia Hurricane, non fatica ad imporsi quale pezzo più riuscito dell'intera raccolta.

Oggi come allora il problema è un altro, e il maggior pregio di The Traveling Wilburys Vol.1 anche il suo difetto più evidente: mi riferisco all'informalità del progetto, che può ancora incuriosire gli appassionati cui sembrerà di scorgere i propri idoli dal buco della serratura, intenti a redigere per sommi capi un tributo al rock'n'roll, al country e alle ballate da crooners degli anni '50, ma allo stesso tempo impedisce al lavoro di trascendere il rango di pur ottimo divertissement. La visione del dvd (molto interessante), che si consuma tra prove all'insegna della quiete, pause in veranda e giovialità assortite, conferma questa impressione. Il rinnovato ascolto del disco, invece, ricorda per l'ennesima volta quanto anodine fossero le produzioni di Jeff Lynne (a mio parere pessimo pure sul Petty di Full Moon Fever, che ancora oggi mi chiedo come possa essere considerato da qualcuno il capolavoro dell'artista), tutte uguali a se stesse e invariabilmente inzeppate di banali citazioni beatlesiane, diluvi di squillanti chitarre acustiche (non ne bastava qualcuna in meno, magari un po' più asciutta?), patterns ritmici di sconfortante ovvietà (sicché pure un mostro del drumming in salsa rock quale Jim Keltner fa la figura del mestierante pescato a caso), colate di synth melassosi. Lo stesso commento, ancorché inasprito, si può applicare al successivo Vol.3, in pratica la fotocopia meno ispirata del predecessore, cui nell'occasione è stata aggiunta una gradita Runaway che fu, appunto, di Del Shannon. Anche questo un buon disco, per carità, se possibile (ad onta della recente scomparsa di Orbison) ancor più divertito e gigione del capostipite, non fosse che da qualche parte, per ogni Poor House nuovamente funzionante a meraviglia nel suo imbastardire country e beat, spunta sempre il doo-wop di seconda mano di una 7 Deadly Sins o la svogliatezza folkie di una Cool Dry Place. In retrospettiva, e a prescindere dalla singola caratura dei musicisti coinvolti, forse espressa più felicemente in altre occasioni e al solito inferiore alla virtuale somma delle parti, quella dei Traveling Wilburys resta una bella avventura da affrontare con la stessa tranquillità e con lo stesso approccio ironico con cui è andata costruendosi. E' probabile sia durata un disco di troppo, ma resta pur sempre una bella avventura.
(Gianfranco Callieri)

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