Due
cd ed una trentina di brani per raccontare la fragile esistenza e la tragica bellezza
di un songwriter assolutamente unico nella storia della canzone d'autore americana:
capace come pochi di lasciare un segno tra i colleghi che lo hanno conosciuto,
eppure totalmente estraneo al successo. Sono passati quasi nove anni dalla sua
scomparsa, quel 1° gennaio del 1997, ma la leggenda di Townes Van Zandt
sembra non perdere un briciolo del suo fascino, che è in fondo quello del loner
per eccellenza, un cane randagio, un lupo solitario che ha attraversato trant'anni
di musica vivendo sull'orlo di un precipizio, tra sanità e follia, tra gioia e
depressione, prima di arrandersi definitivamente alla vita. Lo testimonia il fatto
che Be Here to Love Me non è semplicemente una raccolta delle sue
opere, tutt'altro: è la colonna sonora di un documentario girato lo scorso anno
da una giovane cineasta di Austin, Margaret Brown, per la Palm Pictures
ed in distribuzione proprio in questi mesi sul mercato americano, di cui è prevista
anche una edizione in DVD per i primi mesi del 2006. Si tratta di una raccolta
di esibizioni ed interviste dello stesso Townes Van Zandt, accompagnate da foto
e situazioni inedite riguardanti la sua vita, oltre ad una serie numerosa di interventi
e testimonianze da parte di colleghi più o meno illustri e di molti amici e familiari.
Compaiono nel cast Willie Nelson, Kris Kristofferson, Emmylou Harris, Joe Ely,
Guy Clark e naturalmente Steve Earle, legatissimo al personaggio, tanto da dichiarare
in una frase ormai celebre che "Townes Van zandt è il più grande songwriter
del mondo e lo dirò in piedi, con i miei stivali da cowboy, sul tavolino da caffè
di Bob Dylan". Se dunque il documentario si presenta come un progetto importante
per far luce su un autore mai arrivato al grande pubblico, persino a quello oggi
interessato al genere Americana, la colonna sonora si rivela un'introduzione quanto
meno disordinata alla sua produzione. Composta in gran parte da materiale edito,
proveniente dalle uscite ufficiali pubblicate per la Tomato, Be Here to Love Me
non è da prendere come un vero e proprio best, anche se chi fosse a digiuno di
Townes Van Zandt potrebbe trovarvi un punto di partenza. Meglio tuttavia rivolgersi
alle numerose compilation uscite negli anni passati, oppure ripescare direttamente
dal suo catalogo gioielli come Our Mother the Mountain, The Late Great Townes
Van Zandt e il Live At The Old Quarter. Be Here to Love Me opta invece per una
sequenza caotica di brani dal vivo, solo voce e chitarra, con registrazioni originali
di studio: ci sono i brani più immortali, da Pancho and Lefty a If I
Needed You, da High Low and In Between a Rex's Blues, passando
per Flyin' Shoes, At My Window, Highway Kind, Snake Song
ecc. Il problema resta tuttavia la mancanza di un filo conduttore, che forse solo
le immagini del documentario possono ricomporre. Per i vecchi fans invece l'unica
presenza appetibile sono gli inediti Nothin', Black Crow Blues e
To Live's to Fly tratti dalla collezione personale del manager di Van Zandt,
Harold F. Eggers, e alcune versioni alternative o dal vivo dei brani più
famosi (Fabio Cerbone)
www.townesthemovie.com
www.townesvanzandt.com
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