Matthew Ryan
Boxers
[
Blue Rose / IRD
2014]

www.matthewryanonline.com

File Under: sheets of rain

di Fabio Cerbone (01/11/2014)

Ci sono diversi motivi per apprezzare il ritorno discografico di Matthew Ryan. Potremmo partire dall'idea che due dei "beautiful losers" più interessanti che la generazione rock americana abbia partorito negli anni novanta, si siano ritrovati nello stesso studio (Woodstock, NY), condividendo un pezzo di strada insieme. Il primo naturalmente è Ryan, che in maniera ciclica sembra tornare sui passi degli esordi, sfoderando grinta e lancinante poesia rock stradaiola. Il secondo è una specie di anima gemella, almeno fino a quando ha avuto voglia di incidere dischi, ovvero sia Kevin Salem. È quest'ultimo infatti a porre la firma sulla produzione di Boxers, album che amplifica tutte le caratteristiche di questi musicisti: ballate elettriche livide, sature di suoni rock urbani, un forte sentore di "backstreets" spingsteeniane e ancor di più della disordinata, sincera attitudine di gente come Bob Mould e Paul Westerberg, figura quest'ultima che pare furoreggiare in lungo e in largo su queste incisioni (nel caso partite da Suffer No More).

Un dato è certo, Boxers è una volta di più un ritorno di fiamma di Matthew Ryan per il sound crudo che sfoggiò nello splendido debutto May Day o nell'ignorato seguito di East Autumn Grin, e che sembrava avere lasciato in disparte dopo la pubblicazione di Vs The Silver State. Insomma, quei lavori che non hanno ridotto ogni cosa alla scarna essenza delle sue ballate, come purtroppo è avvenuto in alcune sfuocate opere del suo recente catalogo. Lo stridore delle chitarre nella title track spalanca le porte ad una raccolta di rock'n'roll che trova la forza di graffiare, raccontando al tempo stesso storie spezzate, frustrazioni e un insieme di sentimenti e malinconie che sono tutti racchiusi nella voce di Ryan. Rimane l'arma più affascinante a sua disposizione, quel tono rauco e scuro che rende la sua musica una perfetta colonna sonora per un grigio pomeriggio autunnale. Quale periodo migliore dunque per accogliere il dolore di God's Not Here Tonight e le sferzate di The First Heartbreak, armonica lacerante e un contorno di riverberi e chitarre che grattano via la pelle. Per descrivere il nuovo capitolo discografico, lo stesso protagonista parla di "Crazy Horse che incontrano i primi Replacements", con qualche aggancio con una delle sue band preferite del momento, The National. Conosciamo l'efficacia di questi richiami, perché suscitano le passioni dell'ascoltatore, ma va detto che, in questo caso più che mai, non c'è trucco e non c'è inganno, a cominciare da Heaven's Hill e Anthem for the Broken.

La stoffa è tutta nella mani di Matthew Ryan e dei suoi seguaci: ci sono per esempio Brian Bequette e Joe Magistro alla sezione ritmica e, oltre alle chitarre dello stesso Salem, quelle dell'ospite Brian Fallon (Gaslight Anthem), il quale inspiegabilmente sembra avere perso, proprio con la sua band, quella radice comune qui evidenziata in This One's For you Frankie, con quei cori da gang di strada che un tempo colpivano nel segno in The '59 Sound. Fermiamoci pure con gli accostamenti, perché con tutto il rispetto per Fallon e soci, il songwriting messo in evidenza da Boxers ha un altro peso specifico e basterebbero una sofferente, splendida We Are Libertines, riflessione sulla folle solitudine moderna (We are libertines…/And no one says stop/ And no one says no/ And no one says please come home), la rarefatta chiusura di If You're Not Happy, efficace dimostrazione di come "less is better" anche nelle parole, o più semplicemente un titolo quale Then She Threw Me Like a Hand Grenade a rendere indispensabile questo capitolo della sua ignorata carriera.

Boxers non è solo il disco migliore di Matthew Ryan da molto tempo a questa parte, ma anche la conferma che certo ruvido rock d'autore batte ancora i pugni sul tavolo.


    


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