File Under:ashes
of 70s folk rock di
Marco Restelli (02/01/2016)
Silver
Lining è già la terza prova di Ethan Johns in tre anni. Non male
per uno che di professione fa il produttore di artisti "pesanti" - tra l'altro
con ottimi risultati, come dimostra l'ultima prova di Tom Jones - e che, per un
lungo periodo, ha esitato a pubblicare materiale proprio. I primi due dischi (l'emblematico
If Not Now Then When?
del 2013 e il successivo The
Reckoning del 2014) li ho trovati più che gradevoli, ma con questo
suo nuovo lavoro sembra che il ragazzo abbia deciso di fare un ulteriore salto
di qualità. Quale migliore strada allora, per raggiungere tale ambiziosa meta,
se non quella di attingere linfa vitale direttamente dalle radici della musica
folk rock degli anni 70 - un po' come ha recentemente fatto, in modo encomiabile,
Jonathan Wilson col suo bellissimo Fanfare. Inoltre si è contornato nello studio
di registrazione di "gente" che di quella storia ne ha realmente fatto parte,
radunando intorno a questo suo nuovo progetto grandi musicisti, fra i quali mi
limito a citare il redivivo Bernie Leadon della prima mitica line up degli Eagles.
Un indizio del taglio "derivativo" appena descritto lo si evince già dalla
copertina, che sembra letteralmente scippata ai Grateful Dead, ma alla fine i
riferimenti musicali risulteranno i più diversi (fra i tanti: gli America, ma
anche Crosby Stills & Nash). Ascoltando la title track in apertura, ad esempio,
risulta abbastanza chiaro che il Neil Young di Harvest e After the Gold Rush sia
stata la principale fonte d' ispirazione di Ethan, visto il timbro della chitarra
elettrica utilizzato, tipico dell'artista canadese, che si innesta alla perfezione
su una base essenzialmente acustica. Anche la voce particolare di Gillian Welch
fornisce un prezioso apporto ai cori, ben dosati nel missaggio, contribuendo alla
grande al retrogusto vintage voluto dal cantautore. Nella splendida ballata in
stile desert rock Open Your Window, l'intonazione
e il modo di cantare di Johns sembrano invece imitare Tom Petty, ma a mio avviso
si tratta di più di una fortunata coincidenza che non di un vezzo volutamente
cercato, visto che la cosa risultava evidente già nei suoi precedenti dischi.
Un ruolo di primordine è stato volutamente lasciato, quasi in ogni canzone dell'album,
a una leggenda della pedal steel guitar (fantastica nella spagnoleggiante Juanita)
come BJ Cole, il quale riesce a ricreare quelle atmosfere dilatate e sognanti
di un periodo sostanzialmente irripetibile e che hanno fatto innamorare della
musica americana intere generazioni. Se devo scegliere i brani chiave, penso che
6+9 e It Won't Always Be this Way
(quasi un outtake di Hotel California, col suo sfondo di piano ed archi alla Wasted
Time) riescano, in modo diverso, a riassumere lo spirito dell'intero Silver Liner,
a beneficio soprattutto degli amanti delle succitate "aquile".
In alcuni
episodi, a dire il vero, Johns sa anche affrancarsi da questo leit motive del
richiamo "storico" e i suoi pezzi riescono a riassumere il meglio della sua produzione
precedente (la cullante The Sun Hardly Rises
e la più allegra I Don't Mind). È la dimostrazione che la ricerca del passato
qui non è mai intesa come fine a sé stessa, ma è funzionale ad un confronto continuo
con la propria sensibilità e personalità. Come al solito, su questo tipo di operazioni
artistiche si alterneranno valutazioni molto diverse ("perché ascoltare una copia,
quando da 40 anni si hanno a disposizione degli evergreen originali?"), ma confermando
quanto accennato in premessa ritengo Ethan Johns abbia voluto, a suo modo, rendere
omaggio alla golden age delle sue radici musicali. A mio avviso lo ha fatto con
classe, senza rifare il verso a nessuno degli illustri predecessori, ma limitandosi
semplicemente a evocare "i bei tempi che furono", filtrandoli attraverso il proprio
indiscutibile talento. A ognuno di voi l'ardua sentenza.