Una
di quelle voci che non passano inosservate, baritono scuro con un'anima country
soul, Sean Rowe ha affinato le armi seduttive della sua musica di disco
in disco. Scoperto in una soffitta del suo appartamento di Troy, stato di New
York, dalla Anti, che ne pubblicò l'esordio su scala internazionale (Magic, 2011),
Rowe ha viaggiato in lungo e in largo e tra concerti acustici e una solida base
di ammiratori, ha avviato la campagna di raccolta fondi di Kickstarter per realizzare
New Lore attraverso la personale etichetta, Three Rivers Record.
Il sogno era quello di recarsi a Memphis, casa natale di certa american music
che lo stesso Sean dice di adorare come principale fonte di ispirazione. Così
ha fatto, incidendo negli studi leggendari della Sun di Sam Phillips sotto la
direzione accorta di Matt Ross-Spang (già con Jason Isbell e Margo Price).
L'obiettivo
era un album che mantenesse una certa dose di verità, un suono scarno senza vezzi
di produzione, dove risaltasse proprio quella voce di cui sopra. L'operazione
è solo in parte riuscita, perché il canto emozionale di Sean Rowe è sempre in
prima linea, sovrasta tutto con l'intensità dovuta, lasciando che la musica sia
poco ingombrante, ma è altrettanto certo che qualche leziosità di troppo, già
affacciatasi nel precedente Madman,
rende oggi le sue ballate più ricercate e manieristiche in alcuni passaggi. Insomma,
si è persa un po' di quella oscurità affascinante a favore di una lucentezza soul,
qui ribadita dall'utilizzo del piano e dal sostegno gospel che si diffonde in
Promise You e I Can't Make a Living From
Holding You. Rowe resta consapevole che l'arma della voce è ancora la sua
qualità più spendibile, per cui le trame acustiche e solitarie di Gas
Station Rose e The Very First Snow, rispettivamente apertura
e chiusura di New Lore, confermano il songwriting interiore e romantico del nostro
protagonista, spesso concentrato sul suolo di padre, sulla famiglia e la ricerca
di comunicazione fra le persone, a volte sostenuto soltanto da una chitarra acustica
e da un pianoforte.
In altri frangenti però la situazione scappa di mano
e allora il falsetto di The Salmon e i suoi
lievissimi cori, il pulsare funky disco di Newton's Cradle,
una certa enfasi rock in The Vine non sembrano del tutto risolti, lasciando
dietro di sé l'impressione che quella ricerca di essenzialità e persino
di imperfezione a cui faceva riferimento Sean Rowe non sia poi ribadita nei fatti.
Sarà un caso, ma quando tutto torna nella cornice asciutta delle radici, quando
Rowe galoppa leggero sul terreno country di It's Hard
to say Goodbye Sometimes o si abbandona alle spirali blues ipnotiche
di una You Keep Coming Alive degna di un John Martyn d'annata, New Lore
prende improvvisamente una piega più misteriosa e coinvolgente.