Trigger Hippy
Full Cirlce & Then Some

[Turkey Grass/ Goodfellas 2019]

vanmorrison.com

File Under: southern fried

di Domenico Grio (18/11/2019)

Li avevamo già visti alla prova qualche anno fa e si era abbondantemente capito che di potenziale in buona parte inespresso ce n’era tanto, adesso a distanza di cinque anni dal loro disco d’esordio, i Trigger Hippy, scomparsi dalla line-up Jackie Greene e Joan Osborne e riassettato l’organico, si ripresentano con questo nuovo album e l’impressione palpabile è che quel fuoco che bruciava sotto la cenere sia diventato un incendio di proporzioni piuttosto importanti. Full Circle & Then Some inserisce il tassello più coerente nell’elaborato mosaico del post Black Crowes, i cui eredi legittimi, Chris e Rich Robinson, non hanno mai dato l’impressione di volerne seriamente rinverdire i fasti, incapaci, nei loro autonomi progetti (comunque di ottima fattura), di fondere nuovamente le diverse anime del gruppo e replicare così quel sound unico e rutilante.

Steve Gorman, a lungo batterista della band della Georgia, rimasto presumibilmente fuori dagli screzi familiari dei due fratelli, non ha dovuto, invece, ragionare per sottrazione ed ha opportunamente lavorato sull’intero pacchetto, facendo tesoro di quella straordinaria stagione che ha prodotto nel primo periodo due indiscutibili masterpiece (Shake Your Money Maker e The Southern Harmony and Musical Companion). Il risultato, come detto, è un album di grandissimo impatto che ha soprattutto il pregio di rimettere sulla retta via tutti coloro i quali, in assenza di tangibili segnali, iniziavano a nutrire forti dubbi sulla stessa esistenza in vita del rock’n’roll. Chiamatelo come vi pare, il sound di questo Full Circle & Then Some, un generoso impasto di classic rock, southern, swamp, dixie, funky, delta blues e R’n’B, è l’essenza del nostro viaggio in musica, è gioia di vivere, forza, luce, ritmo, vento che sferza i capelli, spirito e corpo che fluttuano liberi.

I Trigger Hippy innescano quindi le loro armi non convenzionali (trigger significa grilletto ma è anche, nel gergo dei batteristi, un sensore elettrico applicato ad un tamburo o ad un piatto) e avanzano sul fronte allineati, tosti e più cool che mai. Don’t Wanna To Bring You Down, brano d’apertura, è più che una dichiarazione d’intenti, è già il manifesto di quel groove potente e maturo che ritroveremo in tutte le successive tracce, di quel feeling avvolgente che inesorabilmente è destinato ad abbattere qualsiasi forma di eretica resistenza. Ognuno dei 14 brani di questo disco rincorre la perfezione stilistica senza risultare autoreferenziale o didascalico, non cedendo mai all’esuberanza dei suoni e mantenendo un’eleganza ed una sobrietà, neppure intaccata dall’inarrestabile effluvio di immagini e colori.

Steve Gorman, Nick Govrik (voce e basso), Ed Jurdi (voce e chitarra), tutti nella veste anche di produttori e Amber Woodhouse (voce) hanno trovato la formula giusta per mettere a frutto e sintetizzare al meglio la loro lunga esperienza on the road e in studio, riuscendo a passare con naturalezza estrema dal solenne avanzare di Born To Be Blue, esaltato da un finale straripante, al più docile impianto di The Door, dall’honky tonk della title track, in cui Crowes e Stones vanno a braccetto, al country di Goddamn Hurricane in ricordo presumibilmente della tragedia che nel 2005 colpì New Orleans, favorendo a più riprese quello che loro stessi chiamano l’incontro tra Dr John, il “bayou grooves” di Allen Toussaint (Long Lost Friend e One Of Them) e un intrigante e alquanto improbabile “trance/dirge raga psichedelico” (Paving The Road).

I Trigger Hippy, sciorinando questo lessico in sostanziale equilibrio tra gli idiomi seventies del sud e gli stilemi della black music, rinvigoriscono l’idea dell’America liberale ed anticonformista e del rock come fluido, imperituro, aggregante e disinibito modello di cultura popolare. Full Circle & Then Some, qualora non si fosse ancora capito, si è già ritagliato un posticino tra i dischi dell’anno.


    


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