Li avevamo
già visti alla prova qualche anno fa e si era abbondantemente capito che
di potenziale in buona parte inespresso ce n’era tanto, adesso a distanza
di cinque anni dal loro disco
d’esordio, i Trigger Hippy, scomparsi dalla line-up
Jackie Greene e Joan Osborne e riassettato l’organico, si ripresentano
con questo nuovo album e l’impressione palpabile è che quel fuoco che
bruciava sotto la cenere sia diventato un incendio di proporzioni piuttosto
importanti. Full Circle & Then Some inserisce il tassello
più coerente nell’elaborato mosaico del post Black Crowes, i cui eredi
legittimi, Chris e Rich Robinson, non hanno mai dato l’impressione di
volerne seriamente rinverdire i fasti, incapaci, nei loro autonomi progetti
(comunque di ottima fattura), di fondere nuovamente le diverse anime del
gruppo e replicare così quel sound unico e rutilante.
Steve Gorman, a lungo batterista della band della Georgia, rimasto presumibilmente
fuori dagli screzi familiari dei due fratelli, non ha dovuto, invece,
ragionare per sottrazione ed ha opportunamente lavorato sull’intero pacchetto,
facendo tesoro di quella straordinaria stagione che ha prodotto nel primo
periodo due indiscutibili masterpiece (Shake Your Money Maker e
The Southern Harmony and Musical Companion). Il risultato, come
detto, è un album di grandissimo impatto che ha soprattutto il pregio
di rimettere sulla retta via tutti coloro i quali, in assenza di tangibili
segnali, iniziavano a nutrire forti dubbi sulla stessa esistenza in vita
del rock’n’roll. Chiamatelo come vi pare, il sound di questo Full Circle
& Then Some, un generoso impasto di classic rock, southern, swamp,
dixie, funky, delta blues e R’n’B, è l’essenza del nostro viaggio in musica,
è gioia di vivere, forza, luce, ritmo, vento che sferza i capelli, spirito
e corpo che fluttuano liberi.
I Trigger Hippy innescano quindi le loro armi non convenzionali (trigger
significa grilletto ma è anche, nel gergo dei batteristi, un sensore elettrico
applicato ad un tamburo o ad un piatto) e avanzano sul fronte allineati,
tosti e più cool che mai. Don’t Wanna To Bring
You Down, brano d’apertura, è più che una dichiarazione
d’intenti, è già il manifesto di quel groove potente e maturo che ritroveremo
in tutte le successive tracce, di quel feeling avvolgente che inesorabilmente
è destinato ad abbattere qualsiasi forma di eretica resistenza. Ognuno
dei 14 brani di questo disco rincorre la perfezione stilistica senza risultare
autoreferenziale o didascalico, non cedendo mai all’esuberanza dei suoni
e mantenendo un’eleganza ed una sobrietà, neppure intaccata dall’inarrestabile
effluvio di immagini e colori.
Steve Gorman, Nick Govrik (voce e basso), Ed Jurdi (voce e chitarra),
tutti nella veste anche di produttori e Amber Woodhouse (voce) hanno trovato
la formula giusta per mettere a frutto e sintetizzare al meglio la loro
lunga esperienza on the road e in studio, riuscendo a passare con naturalezza
estrema dal solenne avanzare di Born To Be Blue,
esaltato da un finale straripante, al più docile impianto di The Door,
dall’honky tonk della title track, in cui Crowes e Stones vanno a braccetto,
al country di Goddamn Hurricane in ricordo presumibilmente della
tragedia che nel 2005 colpì New Orleans, favorendo a più riprese quello
che loro stessi chiamano l’incontro tra Dr John, il “bayou grooves” di
Allen Toussaint (Long Lost Friend e One Of Them) e un intrigante
e alquanto improbabile “trance/dirge raga psichedelico” (Paving The
Road).
I Trigger Hippy, sciorinando questo lessico in sostanziale equilibrio
tra gli idiomi seventies del sud e gli stilemi della black music, rinvigoriscono
l’idea dell’America liberale ed anticonformista e del rock come fluido,
imperituro, aggregante e disinibito modello di cultura popolare. Full
Circle & Then Some, qualora non si fosse ancora capito, si è già ritagliato
un posticino tra i dischi dell’anno.