Dio è morto, Marx è morto
e nemmeno la musica sudista si sente molto bene. Se questo poteva essere
vero fino a qualche anno fa, e chi faceva questo genere poteva essere
considerato un "highlander", uno degli ultimi sopravvissuti,
oggi la musica Southern è viva e vegeta. Dai Black Crowes che, superati
i dissapori tra i fratelli, sono tornati in tour insieme, a Nathaniel
Rateliff e i suoi Night Sweats, dai Blackberry Smoke a Marcus King, da
Sturgill Simpson a Jason Isbell, quello che un tempo era un genere ormai
sul viale del tramonto, adesso è in grande spolvero.
Quindi il nuovo disco di Robert Jon & The Wreck non rappresenta
più un revival, ma una conferma di un trend ormai in piena corsa. Il gruppo,
attivo da un decennio, è composto da Robert Jon Burrison, voce e chitarra,
Andrew Espantman, batteria, Steve Maggiora, tastiere, Henry James, chitarra
e Warren Murrel, basso. Shine a Light on me Brother è un
disco autoprodotto, più o meno il decimo da inizio carriera (iniziata
nel 2011 e approdata a Last
Light on The Highway nel 2020) per una band decisamente molto
prolifera, acclamata dalla critica e se vogliamo baciata anche dal successo,
avendo avuto modo di suonare in supporto di gente come Joe Bonamassa,
Buddy Guy, Eric Gales, Living Colour, Chris Robinson Brotherhood, Walter
Trout, Devon Allman Band, e via discorrendo.
Dieci tracce compongono questo nuovo lavoro, dalle ballate agli episodi
più goderecci, in cui la voce di Robert Jon esce stentorea e filologicamente
corretta per il genere. L’apertura è lasciata alla canzone che dà
il titolo all’album, Shine A Light On Me Brother,
pezzo gospel caricato a molla che racconta delle traversie di un anno
di pandemia. Il groove di Everyday, tipico del genere sudista,
è contagioso anche se più scontato. Partono poi una serie di brani
che, seppure ben cantati e orchestrati dalla band, suonano un po' come
dei cliché, troppo ammiccanti verso le classifiche di settore. Aint
No Young Love Song, Chicago, Desert Sun si inseriscono
in questa vena, mentre altri risultano troppo melensi (Hurricane,
Anna Maria, Brother). A tirare su il finale ci pensa Radio,
con il suo piano honky-tonky e il suo ritmo incalzante.
Se non ci fossero già in circolazione gli artisti citati nel primo
paragrafo, se il genere Southern non fosse ormai tornato con prepotenza
sui nostri giradischi, potremmo considerare questo Shine A Light On
Me Brother come un disco “di una volta”. Fortunatamente possiamo attingere
a piene mani sia nel passato che nel presente e quindi, pur apprezzando
lo sforzo di Robert Jon & The Wreck, come disse Henry Ford, ne valutiamo
il risultato, che per noi resta quello di un album da ascoltare come riempitivo
tra un Southern Harmony e un Carolina Confessions.