“Il mondo triste e bello”
che Jesse Malin scorge fuori dal suo appartamento di New York è
quello generato da due anni che hanno fermato il tempo, piagato la vita
delle persone, messo in discussione tutte le nostre certezze. Un altro
disco nato sotto l’influenza di un forzato ritiro artistico da pandemia
sarebbe una lettura riduttiva del qui presenteSad and Beautiful
World, ma è pur vero che nella sua varietà di spunti tematici,
quello che emerge dalle liriche è la ricerca di una rinascita, uno scontro
fra solitudine e isolamento da una parte, redenzione e incontro dall’altra.
“Questo album è per quelli che rimettono insieme i pezzi e trovano la
bellezza nella follia”, così afferma Jesse Malin, intenzionato a bilaciare
le sue anime, quella del rocker urbano e quella del songwriter sensibile,
in un doppio disco che le raccolga entrambe.
Dopo l’incontro, un po’ irrisolto artisticamente, con Lucinda Williams
nel precedente Sunset
Kids, disco che faceva trapelare una certa routine musicale,
Sad and Beautiful World ha se non altro il pregio di serrare le
fila intorno alla band che collabora da tempo con Jesse. Molti brani sono
firmati, prodotti e arrangiati con la partecipazione attiva di Derek Cruz
(chitarre) e Rob Clores (synth, piano), oltre a segnalare la collaborazione
di HR, voce storica dei Bad Brains, presente in Todd Youth, nonché
delle voci, sparse in lungo e in largo, di vecchi compagni di strada (da
Ryan Adams a Joseph Arthur e Tommy Stinson). Tutto ciò non risolve tuttavia
l’impressione che Malin sia un po’ a corto di fiato rispetto alla spavalderia
rock dei suoi esordi, e questo nonostante l’entusiasmo con il quale egli
stesso presenti convintamente questa manciata di canzoni, a suo dire capaci
di sintetizzarne al meglio la molteplice personalità musicale.
Diviso in due atti (quattro facciate nell’edizione in vinile, che prevede
anche tre brani indediti in più), Sad and Beautiful World contiene
il primo tempo di “Roots Rock” e il secondo di “Radicals”, così sono intitolate
le sue parti: la differenza emerge a tratti, più spesso resta impercettibile,
ma l’approccio pare mantenersi sui tempi medi di una ballata rock con
qualche tensione latente. L’effetto è quello di una ripetizione degli
schemi, con il tono Americana, romantico e dedito alle brillantezze del
folk rock, che prevale nell’avvio di Greener
Pastures, Before You Go e in una agrodolce cover acustica
di Crawling Back to You di Tom Petty,
lasciando di tanto in tanto emergere quel carattere elettrico, agile e
urbano, che ha reso Malin un discepolo di una lunga tradizione (il singolo
State of the Art, quintessenza del suo stile, la più languida
Lost Forever), la stessa che da Springsteen passa per Joe Strummer
e arriva all’amico Willie Nile.
A prevalere è comunque una tenerezza di fondo e una serie di confessioni
(l’intensità di Tall Black Horses,
la coperta di archi che avvolge con eleganza Sinner), che si pestano
un poco i piedi a vicenda, prima che Backsabbers apra ufficialmente
il secondo movimento di “Radicals”. Affiora quindi un’aria più pop e scanzonata
(Todd Youth, il passo funk disco della ritmica di Little Death),
qualche pronuncia rock più marcata (The Way We Used to Roll, che
risale alla produzione precedente con la Williams e Tom Overby, o ancora
la crudezza blues di Dance With the System) ma anche episodi come
Almost Criminal o il finale di Saint Christopher, che non
sembrano giustificare la netta separazione operata da Sad and Beautiful
World.
Luci e ombre, come il mondo che Jesse descrive là fuori, forse questa
volta frenato in parte da una registrazione che spesso lo ha costretto
a collaborare a distanza con i suoi stessi musicisti.