Quasi quarant’anni di storia
artistica - dalla fondazione della loro prima band, gli Adam’s House Cat,
a metà degli anni Ottanta - Patterson Hood e Mike Cooley possiedono la
scorza dura dei veterani e l’ostinazione dei veri sopravvissuti del rock’n’roll,
portando avanti il nome e il prestigio guadagnato con i Drive-By Truckers,
con ogni probabilità la più importante formazione "sudista"
degli ultimi venticinque anni. Il quattrodicesimo album di studio del
gruppo riflette per la prima volta in maniera esplicita su questo lungo
percorso, cedendo qualcosa rispetto alla loro lucida visuale politica
sull’America (e sulla loro martoriata terra), la stessa che ha marchiato
a fuoco i più recenti album (soprattutto l’indispensabile American
Band), volgendo semmai lo sguardo al personale, ai sogni e
ai fallimenti degli anni giovanili, al passaggio del tempo, alla spietata
legge della strada che qualsiasi rock’n’roll band prima o poi dovrà affrontare,
con tutti i costi e le perdite annessi.
Welcome 2 Club XIII, nome e omonima canzone che evocano
proprio uno dei locali di Muscle Shoals dove la loro avventura ha avuto
un duro battesimo, si colloca così all’opposto rispetto all’impronta sociale
che attraversava le canzoni di The
Unraveling e The
New Ok, offrendo l’esatta fotografia di un disco nato in tempi
di post-pandemia, da un’esigenza di messa in discussione che forse andava
colta adesso o mai più. Tre giorni di incisioni con il produttore storico
David Barbe, poche smancerie e brani ridotti all’osso, Welcome 2 Club
XIII restituisce un clima introspettivo e a giri ridotti del motore,
che tuttavia soltanto a sprazzi coglie la vitalità rock dei Drive-By Truckers,
qui chiusi in se stessi fra stralci di ricordi ed eccessiva autoanalisi.
Il roccioso riff di chitarra virato hard rock che apre il racconto di
The Driver in realtà si stempera
subito in una lunga e sfilacciata storia di “gioventù bruciata” nel deep
south, suggerendo il tenore di una raccolta che avrà la sua inevitabile
chiusura nella speculare Wilder Days,
ballata in tono minore dove Patterson Hood e compagni rimuginano con fare
afflitto, chiedendo di tanto in tanto aiuto alle voci delle ospiti Margo
Price e Schaefer Llana.
Nel mezzo emerge qualche rara fiammata, tutta appannaggio del compare
Mike Cooley, il quale offre uno sprazzo di narrazione americana tipica
del gruppo nell’acceso folk rock di Maria's Awful
Disclosure (disamina storica su certo nazionalismo cristiano)
e nell’esplosione di fiati ed elettriche di Every Single Storied Flameout,
ma si tratta di piccole scintille dentro un racconto introverso e contenuto
nella rabbia. C’è una latente patina di stanchezza che sembra adagiarsi
inesorabilmente su molti di questi episodi: Shake and Pine e We
Will Never Wake You In The Morning si trascinano in un agrodolce alternative
country dal trasporto soul che tuttavia lascia queste canzoni in sospeso,
quasi non finite; Forged in Hell and Heaven Sent si serve ancora
del supporto di una voce femminile e saltella sulle ceneri country rock
della band (prezioso il lavoro di Jay Gonzalez al piano elettrico), mentre
l’ennesimo resoconto giovanile in Billy Ringo in the Dark non fa
che reiterare un clima sonoro troppo trattenuto.
Nella loro carriera sono risorti diverse volte i Drive-By Truckers, persino
in maniera insospettabile, li attendiamo fiduciosi nonostante in questa
occasione lo stallo (che già si intravedeva all’orizzonte nei precedenti
lavori) si protragga più del previsto.