La copertina
di Dreamer’s Motel rimanda alla California, alle strade
in mezzo al deserto, ai motel per viaggiatori al confine con il Messico,
naturalmente a Paris, Texas, alla vita sulla strada, agli Stati
Uniti anni ‘50 del sogno americano, quella che tutti abbiamo in mente,
ma che nei fatti è ben lontana dalla realtà. Joachim Cooder, noto figlio
di, è cantante, polistrumentista e compositore. Lo abbiamo già incrociato
con Over That Road I’m Bound (e relativa intervista),
album dedicato ai brani del misconosciuto folkster Uncle Dave Macon, senza
sapere magari che da oltre trent’anni Joachim è lo stesso che siede dietro
i fusti di batteria in quasi tutti i dischi del padre a partire da Buena
Vista Social Club in poi.
Joachim Cooder è cresciuto circondato dalla musica, ma non, come
molti, ascoltando semplicemente la raccolta di dischi dei genitori. Al
fianco del leggendario padre, ha girato il mondo fin dalla giovane età
come batterista e ha lavorato in studio e dal vivo con giganti come Johnny
Cash, Ali Farka Touré, V. M. Bhatt, Steve Earle, John Lee Hooker, Dr.
John, Nick Lowe, Mavis Staples. Ha preso parte al citato progetto Buena
Vista Social Club, che ha venduto oltre otto milioni di copie in tutto
il mondo ed è entrato nel Guinness dei Primati come l'album di world music
più venduto di sempre. Insomma, un pedigree di tutto rispetto.
Il tredici novembre scorso ha dato alle stampe questo disco di inediti,
Dreamer’s Motel appunto, sempre nel suo stile onirico ed etereo.
Esce a quasi cinque anni di distanza dal precedente ed è stato co-prodotto
da Martin Pradler (John Mayer, Shawn Mendes, Neil Young), e vede la partecipazione
dello stesso Pradler al basso, chitarra acustica e piano, del grande Ry
Cooder alle chitarre, banjo, mandolino e banjo elettrico, del Darwin Community
Brass Ensemble ai fiati, della moglie Juliette Commagere ai cori, oltre
che ovviamente di Joachim Cooder alla voce, alla mbira (strumento africano
che era il fulcro di Over That Road I’m Bound) e alla batteria.
In questo lavoro si mischiano sonorità caraibiche, melodie ariose, cori
eterei e filastrocche simili a ninnananne, alla maniera di Joachim. Il
primo brano è la stessa Dreamer’s Motel,
dove l’influenza del padre (o viceversa?) è presente e ci riporta ad alcuni
dischi di inizio millennio del più famoso genitore. Interessante e piacevole,
ma dopo un po’ può risultare stucchevole. A passo di merengue, su ritmi
caraibici, parte delicatamente Sight and Sound, seconda traccia,
che lascia spazio poi al folk di Godspeed Little Children of Fort Smith,
Arkansas. Cool Little Lion è a metà tra un filastrocca e un
brano di Tom Waits, sospesa tra il melodico e il cacofonico, mentre
Down to the Blood, con la chitarra slide, ritorna al blues,
psichedelizzato, e chiude il disco, di per sé molto corto: solo sette
canzoni per meno di mezz’ora di musica.
Joachim Cooder è un grande musicista, al di là dell’influenza del padre,
ha un suo stile e una sua weltanschauung musicale. A volte però
troppo eterea, con anche eccessivi rimandi stilistici che si mischiano
fino a non farci capire più esattamente cosa stiamo ascoltando. Sicuramente
una prova interessante e onore alla bravura dell’autore, ciononostante
Dreamer’s Motel non convince a pieno e non rimarrà negli annali come
il miglior lavoro del polistrumentista californiano.