Annunciato
come il “$10 Cowboy Chapter II”, legandolo a doppio filo all’album
precedente, Visions of Dallas completa il 2024 discografico
di Charley Crockett, ormai sul piedistallo della scena country contemporanea,
sebbene a debita distanza dalle produzioni più mainstream di Nashville.
L’anima di Crockett è infatti sempre di più rapita dalle colorazioni vintage
di una musica che si fa carico della classicità del genere, sorta di esteta
del gesto country senza tuttavia rimanere imprigionato in una mera nostalgia
e riproduzione del passato. La distanza rispetto ai pur bravi revivalisti
là fuori risiede nel fatto che le sue canzoni non suonano come semplici
imitazioni, semmai veri e propri classici dimenticati, come se fossero
stati ripescati da una memoria condivisa eppure nascosta. Differenza sottile,
direte voi, eppure sostanziale nel giudicare un musicista che ha fatto
dell’aderenza a un canone non una gabbia stilistica in cui fossilizzarsi,
ma un terreno di ricerca.
Lo conferma l’uscita di Visions of Dallas, largamente anticipato
la scorsa estate da una pubblicazione in digitale (e un paio di singoli
al traino) e adesso reso finalmente disponibile anche in formato fisico,
dimostrando la qualità indiscutibile della raccolta e il momento di grazia
vissuto da Crockett, già certificato proprio dal predecessore $10 Cowboy.
Resta il dato innegabile della sua abbondanza discografica, una quindicina
di album in una breve manciata di anni, ma è egli stesso a farsene beffe
affermando che il ciclo del music business di un tempo se n’è andato per
sempre e in contraddizione apparente con la sua figura di “passatista”,
Charley vive nel presente dello streaming e si confronta con la modernità.
La risposta è in questa dozzina di brani, registrati negli Arlyn Studios
di Austin in contemporanea con il citato $10 Cowboy e messi solo
momentaneamente in disparte per dargli una forma più compiuta, un album
omaggio alla città di Dallas, che è stata uno snodo centrale nella sua
carriera. Il tutto è tradottto in sei originali e altrettante cover, ma
la distanza fra le due categorie è pressoché annullata, tale è la capacità
di Crockett e dei suoi musicisti (la stessa squadra che ha lavorato su
$10 Cowboy, compreso il produttore Billy Horton) di tenerle insieme
con la loro capacità interpretativa, oltre alla conoscenza dimostrata
dal protagonista nello scegliere canzoni oscure, di cui offrire una personalissima
versione.
Così, se la stessa Visions of Dallas potrebbe
suonare come un fiammeggiante “residuo” abbandonato del country di fine
60s e risulta invece firmata insieme alla compagna Taylor Grace, allo
stesso moso le riletture di Trouble and Misery (Hoyt Axton), Lonesome
Feeling (brano di Bill Henson portato al successo dagli Osborne Brothers)
o l’adorabile Crystal Chandeliers and Burgundy
(a firma Jack Routh e incisa a suo tempo da Johnny Cash) sono brandelli
della stessa visione di Crockett, honky tonk “comisco” e dal forte accento
texano, come d’altronde non potrebbe non essere per un disco dedicato
a Dallas. A completare la selezione speciale di cover ci sono una irresistibile
Loser’s Lounge (Bobby Pierce) che a suo tempo piacque anche a Ringo
Starr (registrata nel suo Beaucup of Blues, 1974), l’agrodolce
malinconia della più conosciuta Loretta
(Townes Van Zandt), qui interpretata da Crockett e band con toni più briosi,
e infine la chiusura gospel country di Goodbye Holly, outtake di
Bob Dylan tratta dalle incisioni per la colonna sonora di Pat Garrett
& Billy The Kid.
Gettate nel calderone della scaletta di Visions of Dallas, tra
l’epico galoppare western di Killers of the Flower
Moon e il carnale blues di 20-20 Vision, annullano ogni
distinguo fra originale e copia, lasciando al centro del proscenio un
solo dominatore, Charley Crockett da San Benito, Texas.