Ritrovare
Jeffrey Foucault a sei anni dal suo ultimo album di inediti, Blood
Brothers, e ritrovarlo così, nella forma più compiuta e nelle migliori
condizioni di ispirazione possibili, è una bella notizia: per chi ha colto
fin dagli inizi le qualità delle liriche di questo songwriter, tra più
evocativi della sua generazione, e in generale per chi ha a cuore le sorti
di una canzone folk (rock) americana che guarda all’insegnamento dei “grandi
maestri” senza sentirsene prigioniera di stili e parole. Foucault utilizza
la sua tavolozza di colori, una voce caratteristica e in questa occasione
più che in passato una band che gli possa mettere a disposizione nuovi
spazi sonori.
Un’occasione troppo importante per non sfruttarla a pieno, quella di avere,
tra gli altri, John Convertino (Calexico) alla batteria, Eric Heywood
(già con Son Volt, Richard Buckner e mille altri) alla pedal steel e Mike
Lewis (collaboratore nel progetto Bon Iver) al sax, piano e organo, nonché
titolare della produzione, valore aggiunto di un album registrato da Craig
Schumacher in presa diretta negli studi Wavelab di Tucson, tutti raccolti
in una stanza, con quel suono d’ambiente e dalla tessitura desertica.
Sarà per questo motivo che Jeffrey Foucault ha voluto che alcuni di questi
nomi venissero impressi direttamente sulla copertina di The Universal
Fire, primo disco da molti anni a questa parte a riproporlo con
una nuova etichetta, la californiana Fluff & Gravy, fuori dalle sacche
dell’assoluta indipendenza.
Frutto collettivo dunque, ma canzoni che sgorgano dalla scrittura del
solo protagonista, sensibile autore con accento del Midwest (originario
del Wisconsin, anche se da anni residente nel New England e conosciuto
all’interno della scena folk di Boston) che qui più che altrove indaga
il senso dell’esistenza, della natura umana che ci circonda e non ultimo
della perdita. L’idea dell’intero The Universal Fire nasce infatti
dalla scomparsa dell’amico Bill Conway (batterista noto soprattutto per
il suo lavoro nei Morphine), per anni collaboratore nei dischi di Foucault
e trascinato via da un tumore nel 2021: la rarefatta densità gospel folk
di Winter Court in apertura scaturisce
da quell’abbandono e fa da preludio alla stessa title track, trascinante
folk rock dai grandi spazi che mette in parallelo questo senso di lutto
e privazione con il famigerato incendio del 2008, quando gli studi di
proprietà dell'Universal a Los Angeles andarono in fumo portandosi
via molti master originali di grandi registrazioni del passato.
Sono la nostra stessa cultura e i nostri sogni ad essere stati trascinati
via, riflette Foucault, che prova da qui in avanti a raccogliere pezzi
di vita, come uomo e come musicista, che alla soglia dei cinquant’anni
ha raccolto più domande che risposte, più cicatrici che successi: Solo
Modelo ondeggia su un ritmo latino e una steel da desert-rock per
nulla estranea al percorso dei primi Calexico (la presenza di Convertino
ha compiuto il miracolo?), Monterey Rain
è un gioiello folk rock esistenzialista che non avrebbe sfigurato nel
recente repertorio dei Bonny Light Horseman, mentre Moving Through
torna al picking acustico e introverso di un autore che su queste atmosfere
viaggia a nozze, esaltando una voce da autentico troubadour.
Ogni passaggio è dipinto con la giusta intensità di ombreggiature musicali,
la band coglie in simbiosi con Foucault il senso del suo messaggio e questo
è il piccolo miracolo di The Universal Fire, l’album migliore del
nostro protagonista dai tempi dell’affermazione con Ghost Repeater
(2006). A rimarcarlo ci sono le folate di cosmic country in Crushed
Ice and Gasoline, il trambusto rockabilly di una nervosa e
incalzante Nightshift (Erik Koskinen alla chitarra solista, l’ex
Morphine Dana Colley al sax), o la commovente danza sul border messicano
(Sergio Mendoza all’accordion) di una ballata d’amore spezzato quale Sometimes
Love. Tutto scorre in direzione del finale, quando Woodsmoke
ci lascia con la sua domanda irrisolta, fulcro stesso di tutto The
Universal Fire: cosa resterà di noi, quando “Tutto ciò che ami se
ne è andato” e “Non resta nulla tranne il che suono/ Solo un fantasma
in un altoparlante/ Quando cala il sipario”.