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Chuck Ragan
Love and Lore
[Rise 2024]

Sulla rete: chuckraganmusic.com

File Under: Punk-folk-rock


di Gianfranco Callieri (14/11/2024)

Al primo ascolto, questo disco mi ha entusiasmato. Al secondo, già stavo sbadigliando. Al terzo volevo buttarlo dalla finestra, e non ci vuole un filosofo per capire il perché. Come tanti ex-punk sedotti dal fascino stentoreo delle radici, siano questi Mike Ness dei Social Distortion, Brian Fallon dei Gaslight Anthem o Ben Nichols dei Lucero (con tutte le differenze qualitative del caso), anche Chuck Ragan - un tempo frontman dei rumorosi Hot Water Music - ha intrapreso da solista un fiammeggiante percorso di retroguardia, come un esploratore delle Montagne Rocciose della seconda metà dell’800 fermamente intenzionato a riscoprire le radici della musica americana per metterne in risalto la grinta selvatica e l’incedere ferino.

L’idea, in sé affascinante, si è rivelata di difficile attuazione per molti, tra essi Ragan e chiunque si sia nel frattempo accorto di come un simile progetto necessitasse di doti autoriali e virtù di scrittura sconosciute ai più. Non solo, perché il quarto Till Midnight (2014), ultimo album del nostro prima di una pausa durata quasi dieci anni e prolungata oltremisura dall’irrompere del Covid su scala globale, evidenziava limiti compositivi ormai imbarazzanti, nemmeno più mimetizzabili attraverso la sempre indomita e al solito benvenuta energia delle esecuzioni.

Love and Lore poteva ripartire da zero, o indicare una decisa sterzata rispetto al passato, e invece riprende il gesto brutale di Ragan esattamente dove l’avevamo lasciato, inaugurando le asperità con il wah-wah scartavetrato dell’efferata All In, assieme alla successiva Wild In Our Ways un esempio quasi paradigmatico dell’altisonante punk-rock intessuto da trame folk tipico dell’artista, a questo punto così automatizzato, nei comportamenti, da far sembrare anche la peculiare raucedine della propria voce, tra urli e sussulti, un semplice trucco di scena.

Northern World
, con la sua intro elettroacustica subito violentata da una batteria secca e da un forsennato arsenale di munizioni rockiste, vorrebbe se non altro ammiccare all’epos stradaiolo di Bruce Springsteen o dello Steve Earle di mezzo, ma del senso di avventura appartenuto a costoro, dei loro ruvidi viaggi nell’immaginario di una nazione dalle ferite aperte, resta soltanto, pallida e incolore, la mera emulsione, un outfit sonoro da fiera campionaria del rock & roll o da stazione radio dedicata ai mostri sacri del genere. Echo The Halls poteva scriverla il citato Fallon in una giornata di non eccezionale ispirazione, mentre Winter e Aching Hour scavano più a fondo, la prima intavolando una virile ballata roots d’altri tempi, la seconda intrecciando pose springsteeniane e lap-steel in una cornice dall’(apprezzabile) sfondo alt.country.

Anche l’arrangiamento acustico di Waiting Out The Storm, più intenso e funzionale di quello della penultima, un po’ stanca Reel My Heart, contribuisce a sfumare di qualche riflesso meno granitico l’altrimenti impassibile monodimensionalità di Love and Lore, ma basta sintonizzarsi sul duetto con Paige Overton di One More Shot (altro apocrifo di Earle, diciamo dal periodo di I Feel Alright, 1996) o sul fracasso elettrico della conclusiva Hanging On per ritrovarsi di nuovo in mezzo a una cagnara tanto epidermica e divertente quanto prevedibile, già sentita, pronta per essere dimenticata in un battibaleno.

Poi, per carità, meglio il fragore per nulla ipocrita di Love and Lore rispetto a tanta e indigeribile pappetta indie oggi spacciata, almeno nell’ambito della musica delle radici, per lo stato dell’arte. Però, nel metterlo assieme, un po’ di fantasia in più Chuck Ragan poteva proprio adoperarla.


    



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