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Josh Ritter
Heaven, or Someplace as Nice
[Pytheas Recording 2024]

Sulla rete: joshritter.com

File Under: folk lulllabies


di Fabio Cerbone (14/12/2024)

Un po’ in sordina, sul finire dell’anno e a stretto giro dal precedente Spectral Lines, Josh Ritter, una delle penne migliori della sua generazione (oltre che apprezzato narratore, con due romanzi sulle spalle) raccimola nove ballate dolci e nostalgiche, le incide in pochi giorni e in presa diretta, riducendo al minimo interventi esterni e ritocchi produttivi. Il risultato è un album che sembra dirigersi esattamente nella direzione opposta rispetto al citato Spectral Lines, quest'ultimo disco sì meditabondo e di non facile approccio, ma attraversato da ambizioni sonore e arrangiamenti assai più elaborati.

Heaven, or Someplace as Nice è la sua esatta nemesi, come spesso è accaduto nella carriera del cantautore dell’Idaho, che ha alternato volentieri scatti in avanti a ritorni all’ovile, raccolte dal tono folk accorato a passaggi elettrici e persino di natura pop più sperimentale. Qui la presenza della magica chitarra di Bill Frisell dovrebbe nobilitare l’intero progetto, sempre condotto in porto grazie all’aiuto di Sam Kassirer, suo collaboratore storico, e di una ristretta cerchia di musicisti, ma la magia dell’ospite illustre appare completamente asservita al senso ultimo di queste composizioni e all’idea stessa di Ritter, disarmato e docile di fronte al microfono, in una sequenza che, seppur di breve durata, sulla distanza si incarta su se stessa. Ne capiamo le intenzioni e l’umore, ma definire Heaven, or Someplace as Nice un disco da ascoltare intorno al fuoco di un bivacco, come una sorta di “cosmic cowboy mini-album”, parole di Ritter o di chi per lui, è più una suggestione creata ad arte che un dato oggettivo.

Certamente l’effetto rischia di essere soporifero, anche quando le melodie evocano classici della tradizione come Shenandoah (la versione di Only a River, canzone donata a suo tempo a Bob Weir) o accelerano ritmicamente (l’unico episodio, in verità) lungo i sentieri della roots music (Just a Few tears Pt.2). Il cuore antico delle melodie racchiuse in Heaven, or Someplace as Nice lo capiamo, ci arriva anche la moderazione dello stesso Frisell, che si adatta al mood generale e non esce mai dalla natura raccolta e intimista dei singoli episodi, ma il dialogo fra voce, chitarre dai contorni elettro-acustici e tenerezze al pianoforte si ripete in sequenza da The Bride a Shadows e (Still) the Still of The Night, nel mezzo dilatandosi nei cedevoli languori della steel guitar in Stars in the Crown (che potremmo già immaginare in una personale interpretazione di Willie Nelson), asciugandosi fino al solo binonio voce e chitarra di una Where The Dream Ends che echeggia una melodia country folk da vecchio Novecento.

Quando la felpata I’m Not Smiling spegne le ultime ceneri del bivacco sonoro di Ritter e attende il sorgere dell’alba, ci siamo accorti di avere ascoltato un musicista a tu per tu con la sua anima più indifesa: il che può andare bene in una serata particolarmente speciale, magari dal vivo, con il musicista, ma su disco non ottiene gli stessi effetti. Da Josh Ritter (e con Bill Frisell nei paraggi) ci aspettiamo, visti i notevoli precedenti, ben altre sorprese, quelle che Heaven, or Someplace as Nice non pare neppure abbia voglia di mettersi a cercare.


    



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