Chiari Blues Festival
Parco di Villa Mazzotti, Chiari 07/07/2019


a cura di Matteo Fratti
foto: @ Matteo Fratti



Il caldo rendeva lucido di sudore il viso di Matt Schoefield intento a un assolo sul palco con la sua band in azione, ma il timore fondato di un clima che ben si addice a un Blues festival non ha spaventato neppure gli artisti che nella splendida cornice del Parco di Villa Mazzotti in Chiari, il 7 luglio scorso hanno aperto le danze di una carrellata di nomi nello spirito più vero di una giornata in compagnia ad ascoltare buona musica, già dal primo pomeriggio coi The Scotch a fare gli onori di casa, o i Superdownhome che abbiamo visto di recente innescare la miccia di più blasonate esibizioni dal vivo, inflazionato low-fi figlio di Black Keys e White Stripes e sempreverde per questo duo di cordofoni elettrificati e batteria percussiva. Nelle loro mani, un disco di attuale pubblicazione e un repertorio di vecchi blues come I’m Your Hoochie Coochie Man, acerbamente super-amplificati. Ma la scena di cui sopra è già a un buon punto di climax ascendente allorché on stage, col chitarrista inglese in anticipo sui tempi della sua esibizione, dopo l’amico Jay Stollman, come guest–star d’eccezione c’era la brillante Christine Tambakis, il cui apporto vocale ha alzato di molto la caratura dello show, rendendone fluido l’impasto sonoro dagli influssi tipici di una jam quasi southern, condita di funky & soul. Col senno di poi ci rendiamo conto che la loro Dr. Feelgood è stata uno dei vertici dello spettacolo e ci sovviene che quando l’abbiamo visto, Matt Schoefield ha reso di più come session–man che da solo, come nel presente live in cui la formula & friends scelta dal nostro ha reso giustizia non solo alla band, ma alla categoria musicale stessa di cui si fregia il festival in questione.

Gli umori che si respirano e la libertà di assistere a più momenti sullo stesso palco, bevendo una birra o mangiando qualcosa, è una dimensione che troppe volte manca nei nostri spettacoli dal vivo e a cui lontanamente pare in qualche modo sopperire la stessa organizzazione ADMR Music Events: se aggiungessimo, assieme ai chioschetti d’intorno e ai gazebo coi vinili, altri palchi in giro a riprodurre la situazione del main–stage, avremmo avuto quasi la remota sensazione d’immergerci in un modello festivaliero americano cui per un attimo abbiamo pensato proprio lì a Chiari, ritrovandoci insieme da diversi luoghi come forse da qualche tempo non succedeva, complice questa formula più dinamica e “fieristica” che non è stato semplicemente l’assistere ad un concerto. Doveva esserci David Grissom prima di Schoefield sul palco, ma il bello della diretta e quanto il blues deve all’improvvisazione ha voluto così, ritrovandoci poi la band del chitarrista di John Mellencamp e di Joe Ely a seguire: meno carisma ed esibizione ovviamente incentrata su di un chitarrismo che si cimenta al centro dell’attenzione, rilievo allo strumento e meno alla voce, com’è nell’esperienza solista promossa dallo stesso Grissom e dal suo recente Loud Music.

A cambiare i toni “riportando tutto a casa”, o quantomeno a una situazione più contestualmente blues (e un po’ meno rock) sarà piuttosto Eric Bibb che, bando ai guitar–heroes in rassegna nella stessa giornata in questione, regalali il live act migliore del festival, quartetto black & white elettroacustico con una spalla chitarristica come Staffan Astner per un binomio sul fronte del palco che nulla ha da invidiare alla retroguardia, dove la sezione ritmica col batterista Paul Robinson già per anni al fianco di Nina Simone, si muove arguta e disinvolta. Insieme, sono loro i veri mattatori delle scene e Bibb inanella uno via l’altro i suoi cavalli di battaglia che, qualora lo si fosse già visto dal vivo, fanno la sua più sentita scaletta di folk, blues e gospel, capace di un’intesa contestuale non comune tra il pubblico e la scena. Al compianto Franco Mazzotti di ADMR è dedicata per esempio la bellissima Needed Time, commovente ed intensa; così come di scottante attualità rimane Refugee Moan, a cappella come un grido dai campi sull’eterno tema delle migrazioni; l’intesa tra lui ed Astner ci restituisce poi nei brani un po’ più vivaci come Don’t Ever Let Nobody Drag Your Spirit Down, un’aggressiva raffinatezza che ci ricorderebbe persino il Clapton dei tempi migliori. E’ al cuore della giornata la session di Bibb, e meritato è l’applauso in piedi del pubblico a salutarli.

Il presentimento di aver assistito a quanto di meglio in cartellone si fa viepiù forte quando il panino di una pausa da cambio palco ci si ferma quasi in gola, bloccato dal mattone sonoro che ci colpisce dal palco, fiati e tastiere e un ritmico ensemble che anticipa Ana Popovic on stage: il suo show, assieme a quello degli headliner della serata rivelerà un decisivo appeal di intrattenimento, giocato su dinamiche sceniche non solo musicali, ma di certo riempitive di quel che contribuisce a fare del Chiari Blues fest 2019 un po’ anche il festival delle chitarre, di quanto la chitarra rock abbia mutuato dal blues. Così, si prodiga in solismi coinvolgenti dall’alto dei tacchi la bionda chitarrista serba, sound carico di funky e fraseggi a perdita d’occhio, tra rock’n’roll e maximum r’n’b a volte troppo carico e incontenibile, saluti sulle classicissime Goin’ Down e nientemeno che sull’hendrixiana Crosstown Traffic.

Come Kenny Wayne Shepherd d’altra parte, con la band l’artista di punta accolto dalle luci della sera, nome di spicco scelto come principale ma che niente aggiunge a chi lo ha preceduto in questa rassegna, varia e godibile, intrecci rock’n’rollistici e elettrificati dalle sfaccettature delle dodici battute. Di fatto una band di hard–rock, che vede nelle pose da palcoscenico una cifra stilistica dell’esibizione, modulata dai solismi del chitarrista col cappello da cui il combo prende il nome e dai capelli lunghi e piede sulla spia del cantante Noah Hunt, voce ad hoc per l’occasione e sì emblematica del genere da risultare quasi anonima. Turn The Stone o la cavalcata di Long Time Running vorranno pur dire qualcosa in merito, anche se quel che ci rimane nella mente è la versione di I Can’t Hold Out che forse, è quanto di più azzeccato avremmo voluto vedere da band di tal fatta. Ma tant’è, la musica è anche intrattenimento e sicuramente la proposta di Chiari ci ha regalato comunque un bel momento a cui vorremmo abituarci nelle prossime stagioni, neanche fosse la risata lamentosa del wah–wah sui titoli di coda: è ancora Voodoo Child nei bis, immortale blues che stagione non ha.

 

 


    



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