Tra la via Americana e il pop
Intervista a Don Dilego

Il panorama musicale americano si espande davvero a vista d'occhio ed è sempre sorprendente scoprire quanta gente di talento faccia il suo ingresso sulla scena esibendo da subito doti artistiche straordinarie e, senza immolarsi alle regole dello show business, riesca col tempo a trovare delle modalità espressive personali, ritagliandosi un proprio autorevole spazio all'interno del circus. Don Dilego, piuttosto anziano discograficamente parlando (il suo primo disco è del 2001), è uno di quei personaggi che in questo schema si inquadra alla perfezione. Esordisce con un concept album (The Lonestar Hitchhiker), molto apprezzato dalla critica, che fotografa le sue esatte coordinate sonore ed il suo speciale itinerario creativo. C'è una raffinata ricerca delle linee melodiche e delle armonie vocali che lo avvicina molto al cantautorato californiano degli anni Settanta e, prima ancora, alla psichedelia di CSN&Y, al jingle-jangle dei Byrds ed alle magie surf dei Beach Boys e c'è il country alternativo dei Wiskeytown o dei Wilco di A.M. e Being There, il tutto in una fascinosa veste on the road che promana dalla sua spiccata ed imprescindibile attitudine per il viaggio. Gli altri due successivi dischi (The Lonestar Companion e Photographs of 1971), l'ultimo dei quali davvero di buon livello e gli ulteriori progetti firmati anche in qualità di produttore, lo confermano autore di classe cristallina e polistrumentista di livello. Molto apprezzato dai suoi colleghi, Don collabora da tempo con gente del calibro di Jesse Malin (firma quattro brani di Love it to Life e suona in tutto l'album praticamente ogni strumento) e Gregg Williams (Dandy Warhols) e, benché risieda da tempo nella Grande Mela, è impegnato costantemente in un'attività live in giro per il pianeta. In attesa di pubblicare il suo nuovo disco, di fatto già ultimato, è venuto in Italia per qualche data (accompagnato da Ruben Minuto al basso e da Alex Marcheschi alla batteria) e, durante il suo breve soggiorno in Calabria, tra una bruschetta alla 'nduja e un buon bicchiere di Cirò, non poteva non scapparci un'interessante chiacchierata.
(Domenico Grio)

© foto: Entro Tropepe


www.dondilego.com


L'intervista
(a cura di Domenico Grio)



Dopo oltre quattro anni stai per pubblicare un nuovo disco che dovrebbe intitolarsi Magnificent Ram A. Ci potresti dire qualcosa su questo progetto? C'è solo materiale inedito? C'è qualche collaborazione importante?

Si, "Magnificent Ram A" è il primo disco dopo quattro anni che uscirà a nome di Don Dilego ma in realtà ho già preparato altri due album con la mia band Beautiful Small Machine, ho collaborato sia alla scrittura che alla registrazione dell'ultimo lavoro di Jesse Malin ed ho scritto la colonna sonora di un film appena uscito negli States dal titolo "Ranchero"

Si tratta di una produzione indipendente?

Si, è un lungometraggio indipendente. Non c'è George Clooney nel film (ride).

Chi è il regista?

Richard Kaponas

Che tipo di musica hai scritto per questo film? E' un disco solo strumentale?

Il genere, giusto per semplificare, è Americana, la mia musica. Non è un disco solo strumentale, ci sono alcuni brani originali ed un paio estrapolati dal mio ultimo album ("Photographs of 1971").

Tornando al tuo nuovo lavoro. Immagino che con tutti questi impegni sia stato davvero difficile ultimarlo.

Si, sono stato talmente concentrato su tutti questi impegni che non ho potuto prendere troppo seriamente la lavorazione del nuovo disco. Così, l'anno scorso, verso la fine di novembre, ho deciso di fermare tutte queste attività collaterali e dedicarmi interamente al mio album. Sono andato in Oregon dove da anni collaboro con diverse persone. Una di queste è Gregg Williams che oltre a produrre i dischi dei Dandy Warhols, ha lavorato in studio per i Blitzen Trappen ed ha suonato con Sheryl Crow. Gregg ha prodotto "Photographs of 1971" ed ha lavorato con me anche in quest'ultimo disco. A Portland sono andato in un posto che si chiama "Secret Society", una sorta di balera trasformata in studio di registrazione, per produrre "Magnificent Ram A" ma è venuto fuori talmente tanto di quel materiale che ho deciso di pubblicare due album. Questi dischi suoneranno in maniera completamente diversa: il primo si chiamerà appunto "The Secret Society Sessions", sarà il continuum dei miei precedenti lavori e conterrà molti brani che ho già scritto e che non ho inserito in alcun disco ma che sono già stati eseguiti dal vivo in quest'ultimo tour. Il secondo ("Magnificent Ram A") andrà in una direzione completamente diversa, che è poi quella in cui voglio far andare la mia musica. In effetti è piuttosto difficile spiegare quali siano esattamente le nuove coordinate lungo le quali intendo indirizzare la mia musica, non saprei darne una classificazione precisa. Posso solo dire che ci saranno meno suoni elettrici, una prevalenza di strumenti acustici, molte batterie. Non si tratta però di un disco folk. E' davvero una cosa nuova.

Perché questo titolo Magnificent Ram A?

Stavo ascoltando alla radio una storia che parlava di animali, di mufloni per la precisione. Magnificent Ram A è un tipo di muflone, una sorta di grossa pecora con delle grandi corna che vive sulle montagne. Così ho ascoltato questa storia e l'ho trovata interessante. Il titolo Ram A mi è sembrato appropriato.

Come è nata la collaborazione con Greg Williams?

In maniera molto semplice. Nel periodo in cui stavo pubblicando il mio primo disco "The Lonestar Hitchhiker", sono stato in giro per otto mesi a bordo della mia automobile, finchè sono arrivato a Portland per registrare alcune canzoni con un tipo che si chiamava Jeff Trott. Lui conosceva Gregg e ha pensato di presentarmelo. Da allora sono nate l'amicizia e la nostra collaborazione artistica.

Ti piacciono i Dandy Warhols?

Mi piacciono gli album in cui ha lavorato parecchio Gregg. Tipo "Thirteen Tales from Urban Bohemia". Un grande disco!

A proposito dei Dandy Warhols, qualche tempo fa è uscito un documentario dal titolo DIG che faceva il resoconto di un tour dei Dandy Warhols assieme ad Anton Newcombe, leader dei Brian Jonestown Massacre. Nel film la figura di Anton è quella di un artista "maledetto" che vive on the road tra eccessi e al di fuori da qualsiasi schema, contrapposta all'immagine dei componenti della band di Gregg, sempre sotto i riflettori ma ben inquadrati all'interno dello star system. Come vedi queste due facce della stessa medaglia? Credi che persone come Anton siano una sorta di specie in via di estinzione e, comunque, da salvaguardare?

Ho visto il documentario e sono d'accordo con te. Ci sono due gruppi, Brian Jonestown Massacre e Dandy Warhols, che hanno diverse modalità espressive e, in generale, un differente modo di intendere la loro arte. La prima è una band vera, molto concentrata nel fare la propria musica. Questo è l'unico aspetto che realmente interessa loro, qualsiasi cosa succeda. La seconda è una band molto più impegnata a raggiungere il successo e a diventare popolare. A me piacerebbe trovare un equilibrio tra questi due modi di intendere la musica come professione. Da un lato non mi interesso troppo al successo, cerco di fare la mia musica senza pormi troppi interrogativi, però dall'altro vorrei raggiungere una certa popolarità. Per adesso sono molto contento di come stanno andando le cose e di quello che sto facendo, dei miei prossimi dischi, delle mie collaborazioni e del mio tour in Italia.

Vorrei però sapere esattamente quello che pensi di persone come Anton Newcombe.

Non penso ce ne siano molte in giro. Anton è decisamente fuori tempo. Il mercato della musica non è più come prima, è davvero cambiato. Tutti sono indipendenti e quindi, essendo così difficile stare a galla, per riuscire a fare la propria musica bisogna essere sempre tanto concentrati. E' chiaro che si fanno delle feste, ci si diverte, ci si sballa anche ogni tanto ma, come ho detto, non è più come prima che potevi permetterti di essere completamente al di fuori da ogni cosa. Adesso sei indipendente e lavori per te stesso. Un tempo, ancor prima di iniziare un tour e di pubblicare un disco, ti arrivavano un mucchio di soldi perché già si sapeva che avrebbe venduto, già si sapeva cosa sarebbe accaduto. Adesso non è più così, adesso nessuno ti dà soldi, nessuno ti dà la possibilità di adagiarti, di non fare un cazzo. Comunque devi lavorare. Non puoi permetterti di lasciarti andare. Il prototipo dell'artista realmente a passo con i tempi è Jesse Malin. Siamo ottimi amici e posso tranquillamente dire che non esiste nessuno che lavori quanto lui. Ero convinto di essere uno di quelli che lavoravano di più ma da quando lo frequento, Jesse è diventato una fonte di ispirazione per me perché si impegna tantissimo ed è ininterrottamente dedito a produrre la sua musica. Non è un tipo che va a fare feste, che fa casino. Lui ti offre uno show pazzesco quando lo vai a vedere (il miglior show a cui tu possa assistere) ed appena finisce ricomincia a lavorare, a cercare contatti, a parlare con gente per promuoversi.

Il produttore del tuo ultimo disco è sempre Gregg Williams?

No, sono io. In realtà è molto difficile per un produttore stare zitto ed impassibile quando qualcun altro lavora sui suoi brani. A me piacerebbe molto avere qualcuno che si occupi esclusivamente della produzione del disco, soltanto che essendo molto impegnato non posso fermarmi per un mese e stare in studio a registrare. Ho la necessità di trovare una settimana, fermarmi per fare delle date, ritornare in studio per un'altra settimana. Non c'è un produttore che sia disposto a spezzare il proprio lavoro in questo modo. Quindi io sono necessariamente il produttore di me stesso. Tra l'altro tutti quelli che lavorano con me nella band sono capaci di produrre un disco perché hanno un ottimo orecchio e sono in grado di capire se una cosa suona bene o suona male. Mi danno un grosso aiuto in studio di registrazione.

Vivi da qualche tempo a New York. Si dice che New York non sia rappresentativa degli Stati Uniti ma una realtà a sé. Come si abbina la tua musica che parla molto di viaggi e della provincia americana alla vita metropolitana di una delle più grandi città del mondo?

Il problema non esiste. Ho il mio appartamento a NY ma sono sempre in giro per il mondo, quindi non sono mai a casa. Sono perennemente in viaggio.

Che ruolo hanno avuto nella tua musica gruppi come Uncle Tupelo, Whiskeytown, Jayhawks o, andando più indietro nel tempo, i Kinks o i Beatles? La tua musica sembra stare in bilico tra le melodie sixties e la tradizione americana, rinverdita dal roots rock delle band alternative country.

Probabilmente i due gruppi che maggiormente mi hanno influenzato, può sembrare divertente, sono stati i Wilco e i Duran Duran. Questi ultimi, quando ero un bambino, erano i miei eroi e sono stati davvero la ragione per cui ho iniziato a suonare. Se vai ad ascoltare le loro canzoni te ne accorgi. Il suono è molto diverso ma le linee melodiche del cantato di Simon Le Bon sono molto simili alle mie. Per quanto riguarda i Wilco ad ispirarmi, nello specifico, è stato "Being There". Questo disco, quando l'ho ascoltato per la prima volta, mi ha fatto esclamare: questa è la mia musica! A quel tempo suonavo con una band ma poco dopo ne sono uscito perché ero alla ricerca del mio sound, cercavo me stesso come cantante. Con questa band facevo una sorta di country music che non aveva molto senso per me. Poi ho ascoltato "Being There" ed è stata una sorta di illuminazione.

Being There è una specie di summa della musica americana.

In effetti in "Being There" c'è ogni tipo di musica americana ed è questo il motivo per cui mi piace. Quando la gente mi chiede che genere di musica faccio, credo che la gente voglia sapere se faccio country o Americana ma io penso che nella mia musica ci sia tutto. La strumentazione è quella tipica della musica Americana ma il sound non si può inquadrare in uno schema preciso.

Ma, scusaci se torniamo sull'argomento, ti piace davvero il sound new wave dei Duran Duran?

Potrei parlare per ore dei Duran duran (ride). Non è il mio sound preferito, non più (non li ascolto più da tempo ovviamente) ma la cosa che voglio dire sui Duran Duran è che ho assorbito la loro musica da bambino e, anche se la maggior parte della gente li considera new wave, non ho mai pensato a loro come un gruppo new wave, easy, dance. Nei primi due album erano così giovani, così originali, così diversi dalle altre band.

In Love it to Life di Jesse Malin tu suoni, canti e sei autore di alcuni brani, a nostro parere i più belli del disco. Come ti trovi nel ruolo di comprimario. Ti senti ugualmente gratificato?

Per me non c'è nessun problema anzi è molto gratificante, soprattutto mi è piaciuto vedere il processo di creazione del disco, da quando ci siamo riuniti in una cantina dell'east village di Manatthan a scrivere i brani, a quando ci siamo ritrovati nel mio studio a registrare le demo e fino al momento in cui il disco è uscito e lo abbiamo portato sulla strada. Tutto questo è durato un anno ed è stato bellissimo. E' stato interessante vedere anche quanto sono riuscito a dare di me stesso a questo disco. Spero di collaborare anche nei prossimi album di Jesse.

Suoni un mucchio di strumenti. Qual è il tuo strumento preferito, quello che usi per comporre le tue canzoni?

Probabilmente scrivo la maggior parte delle canzoni usando la chitarra perché è più facile ed è a portata di mano. E' difficile trovare un pianoforte ma è il mio strumento naturale, quello con cui amo scrivere la mia musica. In assoluto però uso di più la chitarra.

Il tuo primo disco era un concept album. Le canzoni le hai scritte proprio avendo in mente questo tipo di progetto oppure è venuto fuori per caso?

E' stato concepito dall'inizio come un concept album. Ho incontrato un uomo, un homeless, una sera tardi nella metropolitana di NY. Sono stato con lui alcune ore e mi ha raccontato la storia che ha ispirato il disco. Il tizio chiamava se stesso Hitchhiker [autostoppista, N.d.r.] ed io ho deciso di intitolare così l'album. Ho iniziato poi a viaggiare per il Paese e tutte le canzoni che ho inciso contengono in realtà un pezzetto della storia di quel ragazzo.

Cosa pensi di questo fiorire continuo di musicisti che fanno Americana. Non pensi ci sia il rischio di inflazionare un genere e di perdere di vista quella che è la vera tradizione musicale americana?

No, credo piuttosto sia il contrario. Soprattutto le nuove band hanno la tendenza ad essere più legate alle radici, alla tradizione, rispetto a gruppi più vecchi che lo fanno tanto per fare. Le nuove band hanno un suono ben più radicato e rispettoso delle tradizioni. Si va molto più verso la tradizione rispetto a prima.

Oltre alla musica, cosa c'è di veramente importante nella tua vita?

Il mio più grande interesse è il volo. Ho il brevetto di pilota. E' un'attività che mi fa sentire davvero bene, pieno di pace. Mi piacerebbe avere più tempo da dedicare al volo e mi manca disperatamente. Per il resto amo leggere, andare al cinema. Ho molti interessi.

Un'ultima domanda. Quali sono i dischi più interessanti che hai ascoltato di recente? In altre parole, qualche consiglio per gli acquisti.

Fleet Foxes, Band of Horses e Low Athem.


 


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